«Passo più tempo a suonare Chopin che a fare il settimanale Chi». È la confessione del direttore in persona, Alfonso Signorini. Che sappiamo, inoltre, essere innamorato perso della lirica. Dopo gli anni di gioventù da loggionista scaligero, dopo i tè con le leggende Tebaldi, Cigna e Pavarotti, ora Signorini il melodramma lo vive da protagonista. È sua la regia della Turandot di Giacomo Puccini che il 14 luglio apre il sessantatreesimo Festival in omaggio al compositore, a Torre del Lago. Alla direzione d'orchestra Alberto Veronesi. Per i costumi, entra in campo Fausto Puglisi, colui che ha vestito Madonna, Beyoncé, Michael Jackson, Whitney Houston. Le scene portano la firma di Carla Tolomeo, di fede minimalista, però piegata agli amori del regista per il barocco. La principessa di gelo sarà Martina Serafin, mentre la vittima sacrificale Liù sarà Carmen Giannattasio. Al tenore Stefano La Colla l'impresa di misurarsi con lo squillo tenorile più noto che vi sia: «Vincerò», sarà dunque Calaf.
Aspettiamoci una Turandot in linea con la tradizione. «Librettista e compositore ci consegnano una Cina fuori dal tempo, e questo lascia libertà al regista. Però è una fiaba e in quanto tale deve avere tutti gli elementi della fiaba». In primis, far sognare, anche perché «la funzione dell'opera rimane quella di far evadere». Non mancheranno elementi tipicamente cinesi, i leoni all'ingresso, per esempio. «Fiabesca, un po' disneyana, piena di colori a contrasto con l'oscurità: proprio come la vita». Prevarranno i colori della luna, il rosso amore e sangue, mentre con i cristalli Swarovski si allude al gelo della principessa pechinese. Signorini promette di non fare «corbellerie registiche, quelle che trasformano il regista in prima donna. Non ne ho bisogno», chiosa. «Non sarà una Turandot all'avanguardia. Non mi piacciono le riletture avanguardistiche, come far morire Violetta di overdose, per carità: no. La modernità consiste, semmai, nel rendere fruibile un linguaggio che appartiene alla tradizione». Si permette però una licenza. Nella sua regia sarà centrale la figura di Liù, «è lei la vera eroina piccinina di questa vicenda». Nel finale farà in modo che Turandot, trasfigurata dall'amore, prenda una «corona e la deponga sul capo di Liù che giace nel sepolcro».
Signorini trascorre al pianoforte fra le due e le tre ore al dì, in questi giorni è alle prese con la quarta delle Invenzioni a due voci di Bach («mi sta facendo impazzire»), sta studiando Notturni e Preludi di Chopin. Il prossimo settembre, al Manzoni di Milano, aprirà la presentazione del suo libro su Chopin suonando un Preludio dell'op. 28. Ora il tempo andrà diminuendo, però. Da giugno farà la spola tra Milano e Forte de Marmi per poter lavorare all'allestimento. Galeotta fu la telefonata di Veronesi che gli propose di collaborare come regista. «M'è venuto un colpo. Ho detto sì all'istante alla proposta. Fare la regia di un'opera era il mio sogno». Ha accettato nonostante il titolo. Racconta infatti che correva l'anno 1973, per la prima della Scala andava in scena Turandot con Domingo quale Calaf. «Al primo atto mi prese un attacco di panico, ero molto stressato per gli esami... insomma finii in un'autoambulanza e quindi in ospedale. Da allora giurai che mai più avrei ascoltato Turandot». E per la legge del contrappasso eccolo qui.
Farà tesoro degli aneddoti e segreti di bottega svelati da Gina Cigna, Turandot epocale, e conosciuta durante la giovinezza. Sta poi ascoltando più incisioni che può. Ovviamente è partito da quella con la beniamina Maria Callas diretta da Tullio Serafin. Fra gli elementi scenici prevalenti nell'allestimento, «scalinate con lei lontanissima, là nel suo mondo di gelo, un mondo avulso dalla realtà di Pechino. È sospesa nel tempo, poi grazie all'esempio di Liù si avvicinerà all'amore, scenderà dalle scalinate immense e si farà umana. L'opera finisce con il tradizionale bacio».
Il tutto, dopo quell'esordio di tormenti e crudeltà degni di una pellicola di Kubrick. «È un'opera che non può non piacere agli studiosi di psicanalisi. Incombe lo stupro all'ava di Turandot. La musica è così ossessiva che non può non entrarti nell'anima, forse per questo ebbi il mio attacco 34 anni fa».
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