Il Maestro racconta il genio nota per nota

di Riccardo Muti
Verdi sarà sempre attuale, perché ha espresso in maniera inimitabile i sentimenti che caratterizzano l'umanità. Sono convinto che anche Wagner sia immenso, come è immenso Verdi, però penso, naturalmente posso sbagliarmi, che nel futuro l'umanità avrà più bisogno di Verdi che di Wagner. Io ho diretto tanto Wagner nella mia vita, la sua musica è meravigliosa ed è ammaliatrice, è capace di drogarti.
Ricordo che Carlos Kleiber mi diceva, quando veniva alla Scala durante le mie prove delle opere wagneriane: «Al momento del risveglio di Brunhilde o nel finale del Crepuscolo, la musica diventa talmente sublime che potresti anche morire sul podio». È vero: ti inebri a un punto tale – è come una droga che ti pervade, che ti attraversa – che perdi il senso del reale. Anche se cerchi di dominare la partitura con estremo spirito oggettivo, come potrebbe fare un direttore adusato a partiture di altro genere che quindi analizzasse Wagner in maniera clinica, a un certo punto la musica stessa prende il sopravvento e dall'orchestra si erge una colonna di suono che avvolge il direttore e i musicisti. C'è una magia che in quel momento ti brucia, e si brucia. Dopodiché sei travolto e stravolto. Quando dirigi Wagner, è difficile dopo liberartene: ti rimane addosso una specie di malia, di magia, che porti per lungo tempo.
Però non dobbiamo dare a Wagner e al suo ingresso in Italia i meriti di aver trasformato Verdi, affermando che solo in questa occasione sarebbe entrato in contatto con una realtà europea diversa: Verdi era sempre in contatto con la realtà europea perché viaggiava, aveva diretto le sue opere a Vienna e a San Pietroburgo, era stato a Parigi.
Io amo talmente Verdi in tutta la sua arcata che non saprei scegliere una sua pagina in particolare. Possiamo dividere l'opera di Verdi in due parti: il primo Verdi, dalla prima opera fino all'Otello (lo stesso Verdi dice: «Fino all'Otello ho scritto per il pubblico, con il Falstaff alla fine ho scritto qualche cosa per me»), e il Verdi della maturità: un lungo percorso che parte dal bel canto e poi, piano piano, va avanti in una maniera sempre più complessa, fino ad arrivare alla sublimazione del Falstaff. Tuttavia, nel corso degli anni, studiando Verdi e dirigendo alcune delle sue prime creazioni, come Nabucco, Macbeth, Ernani, Attila, oltre all'ouverture di Alzira e Un giorno di regno, sono rimasto molto colpito dall'aver riscontrato che gli elementi del primo Verdi tornano tutti nell'ultimo Verdi.
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Il mio impegno, al momento, in vista delle celebrazioni per l'anno verdiano, è rivolto allo studio del Simon Boccanegra. Non l'avevo mai diretto perché è sempre stato molto difficile trovare un cast «all'altezza», però alla fine ho rotto gli indugi e mi sono convinto che era inutile aspettare.
Si tratta di un'opera che, grazie a Boito, è stata rimaneggiata dopo più di vent'anni. Verdi aveva già delle perplessità sul soggetto, che definisce triste, molto triste, molto desolante, aggiungendo: «D'altra parte è triste perché dev'essere triste».
Tra la prima versione e la seconda versione ci sono però parecchie differenze: si sente che sono passati tanti anni e soprattutto si sente che c'è la mano di Boito. Il Boccanegra, nella seconda versione del 1881, è un'opera bifronte, perché da una parte guarda avanti e lascia capire che Otello è alle porte, dall'altra in alcune cose guarda indietro, in un certo ricordo di opere del passato. In questo sembra quasi ritornare al primo Boccanegra, che viene dopo la trilogia e mantiene qualcosa di quelle opere popolari. Quindi c'è la convivenza di questi due elementi: un'opera che guarda avanti e un'opera che guarda indietro. Commentando la seconda versione, Verdi afferma: «Abbiamo raddrizzato le gambe al vecchio Boccanegra», perché lui sapeva, pur amando l'opera e considerandola non inferiore alle altre sorelle, che nella prima stesura non c'era teatralità. Nella seconda versione ci sono momenti di una notevole bellezza e soprattutto si sente che la mano della strumentazione di Verdi è diventata molto più raffinata, senza che Wagner abbia avuto una qualche influenza su di lui.

Il Boccanegra, nella seconda versione, ha certi passi che addirittura fanno presagire quelli che saranno i procedimenti armonici e melodici di Mahler. Ecco perché Mahler amava tanto il modo di strumentare di Verdi: lo avvertiva come affine.

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