Nomadi, 50 anni di una band da film

Suonano per milioni di persone e li hanno applauditi Giovanni Paolo II e il Dalai Lama. E Pupi Avati pensa a loro

Nomadi, 50 anni di una band da film

Capita, a volte, di sentirsi nomadi. Talvolta lo si è per sempre: si cerca un sogno, o la speranza di un sogno, e non si finisce mai di cercarlo. Dai e ridai, diventa una ragione di vita. Così. Ora i Nomadi compiono mezzo secolo di nomadismo, sono la band italiana più longeva di tutte, nel mondo li battono solo i Rolling Stones ma nessuna conserva lo stesso spirito di quando è nata. Identico.

Nebbiosi anni Sessanta, l'alba di un'epoca.

Allora Augusto Daolio e Beppe Carletti erano ragazzotti pieni di quell'entusiasmo utopico che oggi non si trova più, speravano di cambiare il mondo o almeno di aprire una parentesi e infilarcisi dentro in nome del beat e del rock. Lui cantava. Quell'altro, Beppe, suonava la fisarmonica come gli avevano insegnato a Novi di Modena, e gli altri del gruppo picchiavano duro, uno per tutti e tutti per uno. Migliaia di concerti. Ovunque. Per platee sterminate o ridicole. Insomma il vero spirito che negli anni Sessanta faceva germogliare la passione.

Daolio, uno dei cantanti italiani che nessuno potrebbe imitare, è morto nel 1992 lasciando il vuoto dentro la musica italiana. Carletti, invece, rinasce ogni anno e ora che ne ha 67 sembra lo stesso di quando aveva la frangia come nelle foto dell'epoca. «Abbiamo iniziato nelle balere» dice lui, ormai orgoglioso nonno ma sempre timida cassaforte di tanti segreti della nostra musica. Per capirci, quando i Nomadi incisero Dio è morto nel 1967, scritta da Guccini prendendo un aforisma di Nietzsche ma ispirandosi a un poema di Ginsberg, alla Rai tremarono le gambe e scattò la censura. Ma Papa Paolo VI in persona capì il senso autentico del brano, tutt'altro che eretico, e quindi Radio Vaticana iniziò a trasmetterlo senza imbarazzi. Fu, in qualche modo, la consacrazione dei Nomadi, la via di uscita dalla loro gavetta di concerti a qualsiasi ora e per un numero qualsiasi di ore. Mica come oggi: mezzo secolo fa le band suonavano a tamburo battente, bastava attaccare la spina e via andare. «Facevamo quattro brani, poi lasciavamo che la gente andasse al bar a bere, poi ricominciavamo e così via, un po' rock per ballare e un po' lenti per abbracciarsi, allora funzionava così», ha spiegato Carletti l'altro giorno, emozionato, in un albergo milanese annunciando la grande festa per le sue nozze d'oro con la musica: 14, 15 e 16 giugno a Cesenatico, tre giorni di concerti e discussioni e partite di calcio in quella tipica euforia italiana che è uno dei nostri tesori. Pensate: ancora oggi ci sono famiglie che fanno le vacanze in camper seguendo gli show della band. E credeteci: tanti gruppi di ventenni appena sbocciati sono stanchi dopo trenta date, mentre i Nomadi ne suonano un centinaio all'anno per una media di un milione di spettatori, un'enormità. A tutti loro, in questi decenni, si sono aggiunti Fidel Castro, Giovanni Paolo II e il Dalai Lama a dimostrazione che questa band, con Daolio e poi con Danilo Sacco e ora con l'eclettico Cristiano Turato, sa intercettare il gusto popular della musica mescolandolo con una indubbia capacità di suonare. Non per nulla in Italia ci sono ben 271 cover band che suonano canzoni dei Nomadi.

271, capito?

Qualcuna si esibirà a Cesenatico, le altre continueranno a farlo nei piccoli club di tutta Italia dove il pubblico non aspetta altro di cantare in coro Io vagabondo, brano scritto da Alberto Salerno per i Nomadi che in pochi mesi vendettero un milione di copie. Un'apoteosi. Carletti, che non è retorico neanche se ci prova, l'ha raccontata al bravo Andrea Morandi in Io vagabondo (edito da Arcana). E Augusto Daolio l'ha spiegata bene durante un Festival dell'Unità del 1983: «I Nomadi sono come l'uomo mascherato: non muoiono mai». Non è un caso che mezzo secolo dopo la loro nascita, Pupi Avati abbia in mente di girare un film proprio su di loro, la versione girovaga di quella emilioromagnolità che ha già raccontato nel suo Gli amici del Bar Margherita del 2009.

A fine anno ha ascoltato il disco solista di Beppe Carletti e si è deciso: musiche perfette per raccontare la storia del gruppo. Ci penserà, lo girerà e in quel film ci sarà un bel pezzo di ciascuno di noi che siamo rimasti nomadi purtroppo solo a tratti.

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