Marco Missiroli fa le corna alla lingua italiana

Marco Missiroli fa le corna alla lingua italiana

La trama ruota attorno al tema ottocentesco dell'adulterio, ma è la cara, dolce, vecchia Angst del '900, l'angoscia filosofica e senza oggetto, lo stato d'animo che predomina in Fedeltà di Marco Missiroli (Einaudi, pagg. 224, euro 19). Il romanzo, che ha l'ambizione di strappare il premio Strega al Mussolini di Antonio Scurati, eterno secondo delle patrie lettere, ha suscitato alcune giustificate stroncature e una sorta di tiro al piccione un po' meno giustificato, visto che tutto sommato è un'opera che si lascia leggere e che paga un cospicuo tributo alla letteratura italiana del secolo passato.

La vicenda raccontata in Fedeltà è molto semplice. Siamo a Milano, la nebbiosa Milano, sebbene la nebbia, per scansare gli stereotipi, sia stata sostituita da una generica foschia. Un docente di scrittura creativa segue una studentessa che si è alzata per andare in bagno, la raggiunge e prova con successo a sedurla, anche se poi la ragazza rovina tutto, svenendo. Denunciato al rettore da una zelante matricola, il docente inventa una mezza verità: avrebbe aiutato la studentessa a riprendersi, senza lubrichi secondi fini. Qualche giorno dopo, mossa da un comprensibile desiderio di vendetta, anche la moglie del docente, un'agente immobiliare, sfiora l'adulterio: un tendine della coscia le duole e dev'essere massaggiato da un fisioterapista apparentemente freddo e molto professionale, in realtà appassionato di combattimenti di cani e così violento da essere pronto a spezzare le gambe a catenate a chiunque si comporti in modo scorretto con lui; esplosioni d'ira che peraltro vengono raccontate con il tono del bollettino del mare.

Il resto del romanzo, in cui giocano un ruolo notevole i genitori vivi e morti della vacillante coppia, descrive cene in famiglia, bistrot frequentati da universitari, la ricerca di un nuovo appartamento dove vivere, passeggiate in città con i protagonisti che disegnando cerchi sempre più piccoli si avvicinano all'obiettivo indicato, per antifrasi, dal titolo. L'aspetto di Fedeltà che desta maggiore scetticismo e che indirettamente avvilisce le pagine belle, che pure non mancano (riuscita è, per esempio, la scena della visita alla cartomante), non è però l'intreccio, bensì la scrittura. Per increspare la prosa piana, forse per questo ritenuta scialba, dei Cassola, Arpino e Buzzati, i modelli adombrati dal romanzo, Missiroli attua alcuni sabotaggi della grammatica italiana (impossibile ipotizzare qui una latitanza del correttore di bozze) che vorrebbero essere espressivi - a meno che non intendano mimare la sciatteria del registro colloquiale - ma risultano astrusi o farraginosi. Cosa vuol dire «con la mano libera vegliava lo zaino»? È accettabile scrivere «avvicinarsi a quei paraggi», «si erano dovute inventare brusii», «corrompendosi alla scelta», «accomodandosi alla ellittica nella sala attrezzi», «aveva smesso di provvedere prima che i bisogni venissero alla luce», «i settemila euro che suo padre le aveva finanziato per il master», «fare una lista di mansioni insieme», «si tenne al grembiule», «mentire le chinava la testa», «i fianchi incoerenti al tratto longilineo», «insidiare i confini di un maschio insidiabile»?

Aggiungete a questa brutta, gratuita antilingua il fatto che Fedeltà è un romanzo (chiediamo scusa per il tecnicismo) in terza persona multipla, ma che l'autore non segnala il cambiamento di focalizzazione nemmeno con un rigo vuoto; aggiungete il sospetto che probabilmente nell'anno del Signore

2019 le corna non meritino un'attenzione così totalizzante e capirete come mai quegli antipatici dei critici letterari, sempre pronti a seminare zizzania fra scrittore e lettore, si siano messi in fila per storcere il naso.

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