Cultura e Spettacoli

Un mattatore a tutto campo dal cabaret alla televisione

Morto il comico Re del "Drive in" negli anni Ottanta ma capace di reinventarsi nelle sit com e a teatro

Un mattatore a tutto campo dal cabaret alla televisione

Magari, nonostante la morte di solito livelli ogni conflitto, a qualcuno spiacerà doverlo ammettere, eppure è così: Gianfranco D'Angelo - scomparso nella notte tra il 14 e il 15 agosto a Roma dopo un breve ricovero è stato una colonna della comicità italiana. Uno showman completo, che ha fatto scuola, che ha saputo trasformarsi e trasformare linguaggio e tempi della risata, passando dal teatro di varietà al cabaret alla stand up comedy ai format tv preconfezionati, senza farne una teoria di storia dello spettacolo e senza farlo notare troppo con interviste ad effetto. Il 19 agosto avrebbe compiuto 85 anni, ma da tempo ormai non si sentiva parlare di lui se non per ricordarsi che era un dimenticato.

«Comico e cabarettista romano, re del Drive In degli anni Ottanta, in scena con la sua comicità attraverso satira, monologhi, racconti, poesia, barzellette, gags, canzoni romane e d'autore, sarà il mattatore di uno spettacolo intenso con band e corpo di ballo. Un amarcord che rende omaggio ai migliori anni della comicità italiana»: non è il suo necrologio, né il commento alla scomparsa elargito da qualche direttore artistico, ma la locandina di una tra le decine di piazze italiane che D'Angelo copriva fino a qualche estate fa con biglietto a dieci euro. La partecipazione come ospite non giudicato a Italia's Got Talent nel 2015 gli aveva restituito la prima serata che per anni ha dominato: portava il numero di «Has Fidanken» e ci fu poco da ridere. D'Angelo non era un comico dalle corde buoniste e l'atmosfera caritatevole del tributo non gli si addiceva affatto. Servì a incrementare le centinaia di chilometri al giorno che faceva in tournée (Dalle stelle alle stalle titolò il Corriere della Sera dopo le polemiche sul suo tenore di vita seguite a una intervista a Domenica Live di Barbara d'Urso nel 2018). Ne seguì il ruolo che ebbe nel 2017 a teatro in Quattro donne e una canaglia con Corinne Clery, Barbara Bouchet, Marisa Laurito e nel 2019 in W gli sposi di Valerio Zanoli, insieme a Paolo Villaggio.

Eppure ci fu quel lungo momento, a partire dagli anni 80, in cui se tra i giovani e giovanissimi si restava in casa era per seguire Drive In. E di quella prima serata firmata Antonio Ricci i caratteri di D'Angelo erano uno dei cuori pulsanti: svettavano le ciniche, surreali reinterpretazioni di personaggi di politica e spettacolo, come John Spadolini o Sandra Milo, le interviste di Roberto Gervaso alla contessa Marina Dante delle Povere o a Raffaella Carrà, la telenovela fake «Anche i baudi piangono» dedicata alla coppia Baudo-Ricciarelli e moltissimi altri. Ci fu quel lungo momento durato oltre vent'anni in cui D'Angelo dettava i tormentoni ripetuti come mantra dagli italiani dai 5 ai 99 anni: «Amici amici amici, era una notte buia e tempestosa»; «Has Fidanken», ideato da Enrico Vaime e che divenne anche un disco, istruzione catartica che D'Angelo addestratore magico ripeteva a una cockerina imbalsamata; «Gos'è la vida, se non c'è De Mida?», con cui imitava il politico democristiano; «Buono dolce tenero» riservato ai personaggi più acidi e caustici dal coniglione rosa che incarnava come «Tenerone», solo per citarne alcuni.

Non arrivò a quei tormentoni vergine: aveva fatto gavetta illustre e poi meritato il successo ben prima di approdare ad Italia 1 e fare di quella rete, insieme a tanti altri comici, un marchio televisivo di punta del costume italiano. Forse vale la pena ricordare quegli inizi ancora più che la coppia perfetta con cui si sublimò insieme a Ezio Greggio. Nato a Roma nel 1936, cresciuto con gli zii, di origini poverissime, era impiegato alla Sip, ma in testa aveva il teatro. Tanto che ci si mise come macchinista, attrezzista e poi ne costituì uno suo con gli amici, il Cordino a Trastevere, dove negli anni '60 recitava i testi che gli scriveva un trentenne giornalista creativo di nome Maurizio Costanzo. Fu al Puff di Lando Fiorini dal 1968 e due anni dopo Garinei e Giovannini lo vollero a sostituire Elio Pandolfi per l'Archiepiscopo Lotario in Alleluja brava gente con Rascel e Proietti. Fu al Derby, fu al Bagaglino. E fu in Rai che debuttò in tv, a Sottovoce ma non troppo, cui seguirono Foto di gruppo a fianco di Raffaele Pisu, Milleluci, Dove sta Zazà, Mazzabubù, La Sberla di Giancarlo Nicotra nel 1979, Tilt. E nel frattempo per lui erano arrivati anche le sitcom e il cinema: partecipò a oltre cinquanta film, la maggior parte del genere commedia sexy, vicino a Lino Banfi, Alvaro Vitali, Renzo Montagnani, a Federico eccetera eccetera, condotto alla radio da Costanzo.

«Contrariamente a come facevi in scena, quando uscivi tra applausi e ovazioni», lo ha salutato Ezio Greggio su Instagram, «ci hai lasciato in silenzio, in punta di piedi».

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