Cultura e Spettacoli

Il meglio di Bruno Munari. L'artista "totale" che rivoluzionò il design

Al Mef di Torino tempere, sculture, libri e fotografie che raccontano un creativo e la sua rivoluzione sobria

Il meglio di Bruno Munari. L'artista "totale" che rivoluzionò il design

Giacca e cravatta. L'eleganza di un signore distinto che mai rinuncerebbe al Principe di Galles. Basterebbe tale dettaglio per capire la differenza tra Bruno Munari (1907-1998) e la gran parte di artisti suoi coevi o successivi. Una classe e una sobrietà, condivisa peraltro con Lucio Fontana, portate con ironia spiazzante, la stessa che attraversa oltre sessant'anni di storia italiana, dal secondo Futurismo al Compasso d'Oro alla carriera, vinto nel 1997, pochi mesi prima della morte.

Bruno Munari artista totale. Non poteva intitolarsi diversamente la ricca e stimolante antologica da poco inaugurata al MEF Museo Ettore Fico di Torino (fino all'11 giugno) curata da Claudio Cerritelli. Mostra in cui si sondano tutti i multiformi aspetti dell'attività creativa di un genio del piccolo formato, che rinuncia fin da subito alla magniloquenza, alla monumentalità e all'eccesso di egotismo in favore di una poetica del quotidiano, intelligente, acuta, mai banale. Se un torto si può imputare a Munari è quello di essere arrivato troppo presto, pur avendo inanellato successi e consensi in ogni campo. Oggi però lo capiamo anche meglio, avendo finalmente chiaro che l'arte è innanzitutto il luogo dell'intelligenza e del pensiero, in cui però il fare continua a esserne componente fondamentale.

Come definire allora Munari? Pittore certo, ma anche scultore, disegnatore, grafico, editore, scrittore, designer, pubblicitario, consulente aziendale. La sua ironica autobiografia, che comincia con «quello nato a Milano nel 1907», ricorda una famosa canzone-monologo di Enzo Jannacci. E il Duomo è sempre sullo sfondo.

Munari racconta un mondo a portata di mano: fogli di carta, dipinti, sculture da viaggio, libri illeggibili, forchette parlanti e tanto altro ancora, cercando il dialogo con l'osservatore, coinvolgendolo nella creazione dell'opera, anticipando addirittura quella teoria dell'arte relazionale che andrà di moda negli anni 90. La sua primaria adesione al Futurismo ben poco spartisce con i temi ideologici dell'Aeropittura, ha un taglio prevalentemente meccanicistico, già rivolto a quell'istinto di modernizzazione tecnologica che investe un Paese ancora in buona parte agricolo. Nascono poi le Macchine inutili (1933), parenti prossime delle duchampiane Macchine celibi, a sottolineare con largo anticipo una visione ludica dell'arte, eppure niente affatto banale. Non ready made ma cose fatte a mano, con gusto artigianale, beffardamente bricoleur.

Nel 1948, mentre imperversa la pittura informale con la sua carica drammatica e ipersoggettiva, Munari fonda il MAC, Movimento Arte Concreta, che rinuncia all'immagine e all'apparato naturalistico, per un'astrazione estremamente semplice, primaria ed elementare, che flirta con il design, con l'industria, ad anticipare quel boom economico destinato a esplodere negli anni 50, quando anche l'effetto dell'immediato dopoguerra, con tutti i suoi lasciti e le sue ferite, tende infine ad attenuarsi.

Munari diventa consulente aziendale, lavora come art director, disegna e produce libri per l'infanzia i bambini, privi di quelle sovrastrutture intellettuali che condizionano fin troppo il mondo degli adulti, sono i suoi interlocutori privilegiati- nella Milano città trainante verso la modernità, inscenando una piccola ma significativa rivoluzione a proposito del ruolo dell'artista, che deve essere a contatto con il mondo e non più chiuso nella sua torre d'avorio. Con le Sculture da viaggio ironizza sulla statuaria monumentale, contro il peso specifico dei volumi e delle forme ampollose per un'arte da compagnia, che può facilmente cambiare casa. Poi la lunga serie del Positivo negativo, altro colpo basso alla retorica e alla sua inutilità: siamo dunque noi a poter scegliere il punto di vista, cosa ci interessa di più in un dipinto che non ci darà mai una risposta definitiva, semmai pronto a porre un'altra domanda.

Sperimentatore accanito, Munari ha nei confronti delle tecniche a stampa una vera e propria ossessione, amando particolarmente i libri. Per le sue opere sempre riconoscibili ma volutamente prive di uno stile ben definito, rinuncia a griglie troppo stringenti, oggi si direbbe surfa tra le onde di una cultura vasta e complessa che tende comunque a semplificare, ad alleggerire.

Proprio questa è l'idea che lo rende ancora molto interessante nel nostro presente, si potrebbe persino dire attuale se il termine non riducesse il tutto a cronaca quando invece l'arte che resta deve essere comunque storia.

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