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Meravigliosa Rohrwacher, ma la "Palma" va a Ceylan

Trionfa il turco Winter Sleep. Il film della regista toscana vince a sorpresa il prestigioso Grand Prix. E sono tutti contenti

Alice Rohrwacher sul palco con Sophia Loren
Alice Rohrwacher sul palco con Sophia Loren

da Cannes

La Palma d'oro a Winter Sleep di Ceylan; il Gran Premio della giuria a Le Meraviglie di Alice Rohrwacher; l'ex aequo del Premio della giuria a Mommy di Xavier Dolan e ad Adieu au langage di Jean-Luc Godard; la migliore sceneggiatura a Leviathan di Andrey Zvyagintsev; Timothy Spall come migliore attore per Mr Turner, Julianne Moore come migliore attrice per Maps to the Stars; la Camera d'oro per l'opera prima a Party girl. La 67ª edizione del Festival di Cannes si è chiusa rispettando i pronostici, con in più un pizzico di ecumenismo e una sorpresa.

Quest'ultima ci riguarda da vicino come italiani: il film della Rohrwacher era arrivato alla competizione senza eccessivi squilli di tromba e, pur avendo avuto un buon successo di critica, non era successivamente mai entrato nel toto-mostra internazionale quotidianamente aggiornato.

L'aver avuto un riconoscimento di prestigio, quale già lo ebbe Gomorra (Il Divo vinse invece quello della Giuria), fa venire in mente la frase che un critico famoso, Emilio Cecchi, pronunciò all'indomani dell'assegnazione del Nobel a Salvatore Quasimodo: «A caval donato non si guarda in bocca». Al suo secondo film, la regista ha dimostrato comunque una capacità di dirigere gli attori non comune, una freschezza d'insieme e una piacevole modestia al momento di ricevere il riconoscimento, niente meno che dalle mani di Sophia Loren...

L'ecumenismo è invece legato all'accoppiata Dolan-Godard, il regista più giovane e quello più vecchio, il giovane talento e il celebrato maestro. Se si vuole, lo si può leggere anche come un passaggio di consegne o il segno di un filo rosso che non si spezza. In ogni caso, se non aggiunge nulla alla fama del secondo, lancia il primo fra le sicure certezze della cinematografia. E stato il suo il film più innovativo visto in tutta la mostra, il più allegro e insieme il più tragico.

È stato comunque nell'insieme un buon Festival, in linea con le promesse della vigilia. La giuria si è rivelata all'altezza, a cominciare dal suo presidente, la regista neozelandese Jane Campion. Composta da altri tre registi, Sofia Coppola, Jia Zhanke, Nicolas Winding Ref, americana la prima, cinese il secondo, danese il terzo, e da quattro attori (la francese Carole Bouquet, lo statunitense Willam Defoe, l'iraniana Geila Hatami, la sud-coreana Jean-do-Yeon, il messicano Gael García Bernal) rappresentava uno sguardo internazionale non euro-centrico, ma sufficientemente equilibrato, viste le singole biografie, per non far pendere la bilancia verso scelte troppo marginali.

Oltre che nell'aspetto artistico, Cannes non ha deluso nemmeno sotto quello dello show-glamour. Il tradizionale Gala Amfar, per citare solo il più importante dei tantissimi appuntamenti cine-mondani, presieduto da Sharon Stone e Carla Bruni-Sarkozy, ha fatto segnare il record della beneficenza a favore della ricerca contro l'Aids. Tre milioni e mezzo di euro è stato il risultato dell'asta per aggiudicarsi una quarantina di «mises» degli stilisti più famosi; quasi dodici (record assoluto) per un'opera di Damien Hirst, uno scheletro di mammouth dorato; mezzo milione per un collier di Bulgari creato come omaggio a Liz Taylor e indossato per la serata dalla moglie, tornata a essere semplice cantante, dell'ex presidente della Repubblica francese. Fra gli invitati, Leonardo DiCaprio, John Travolta, Adrien Brody, Jane Fonda e la «donna barbuta» Conchita Wurst...

Più nuvoloso, invece, si è rivelato il panorama dello show business, soprattutto nei rapporti con l'industria cinematografica americana. Il Festival viene giudicato troppo caro (fra uno e tre milioni di euro), troppo rischioso dal punto di vista della critica, troppo in anticipo (come date, meglio Venezia e ancor più Toronto) rispetto alla cosiddetta Oscar Season (autunno-inverno) quando gli studio hollywoodiani promuovono i loro film per farli concorrere alle nominations.

Pur se da dieci anni a questa parte Therry Frmeaux, il selezionatore ufficiale della Mostra, si è mosso intelligentemente per dare nuovo smalto a un rapporto che nel decennio precedente aveva dato segni d'usura, resta il fatto che dei tre film in concorso targati Usa, uno, Maps to the Stars, di David Cronenberg, aveva addirittura capitali euro-canadesi.

Motivo di irritazione è stata poi la scelta festivaliera di scegliere, come film d'apertura fuori concorso, Grace de Monaco, nonostante il braccio di ferro fra il suo distributore americano, Harvey Weinstein (lo stesso di The Artist) che voleva riservarsi l'ultima parola, e il regista Olivier Dahan,

irremovibile quanto al suo diritto d'autore. Preferire la versione di quest'ultimo è stato considerato dall'industria cinematografica Usa una mancanza di riguardo, anche se non si capisce come sarebbe stato possibile il contrario.

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