Perché tutti stanno parlando della mostra allestita da Anselm Kiefer (in collaborazione con la galleria Gagosian, e non è un elemento secondario) a Palazzo Ducale a Venezia, con le opere «sovrapposte» alle tele di Tintoretto? E perché durante la recente Milano Art Week ha fatto tanto scalpore (ancora una volta...) il pupazzo di Maurizio Cattelan impiccato nei bagni di Casa Corbellini-Wassermann (con tanto di code, selfie e polemiche)? E perché, per stare a Milano, il «Bosco Verticale» di Stefano Boeri è diventato così iconico, mentre altri edifici magari più interessanti dal punto di vista estetico-artistico non hanno avuto la stessa visibilità?
Belle domande. La risposta, ancora più bella, perché supportata da un discorso teorico convincente e brillante, è tutta dentro il saggio di Pierluigi Panza Arte come comunicazione, sottotitolo «Estetica e storia della letteratura artistica» (Guerini, pagg. 198, euro 22; introduzione di Vincenzo Trione).
Rigorosamente accademico, ma con una scrittura che ha il passo del pamphlet, il libro è diviso in tre parti. Nella prima si prova definire cosa è «arte», sulla scia di Hans Georg Gadamer: l'arte - non qualcosa che nasce come tale, ma che lo diventa se e quando si accumula su di essa un valore - è un'esperienza del mondo e nel mondo che «modifica radicalmente chi la fa», ampliando la comprensione che l'artista ha di sé e della realtà che lo circonda. Che alla fine è ciò che differenzia la Gioconda (studiata, imitata, rubata, trasfigurata...) dalle vedute dei pittori dei Navigli, che non di-svelano nulla, né a chi dipinge, né a chi guarda. La seconda parte invece è dedicata alla «letteratura artistica» che nel corso dei secoli ha creato un surplus di senso attorno alle opere d'arte: le teorie, la storiografia, la critica. E poi la terza parte, per noi ancora più interessante. Dove si spiega - dall'interno: Panza è un eccellete giornalista culturale che segue mostre, fiere, aste, premi... - il potere della comunicazione, oggi, nel mondo dell'arte. Come, cioè, in un momento in cui teoria e critica diventano sempre più «liquide», a dare valore a tante opere e a tante «operazioni» del contemporaneo sia ormai il combinato disposto di giornali, new media, art system e storytelling. Ossia: come prendo un artista e lo trasformo in un artistar. Come prendo un'opera e la faccio valere milioni di dollari. Come prendo un evento e lo rendo « imperdibile».
Ridimensionato il ruolo del critico, ed esaltato quello del curator, attraverso esperti, influencer, testimonial, prezzi gonfiati, mostre blockbuster e narrazioni varie, oggi si favorisce (a volte si costruisce, a tavolino) un «consenso» che conferisce valore di visibilità a opere d'arte e di architettura che, a loro volta, generano valore economico.
Ed ecco perché il (falso) Salvator mundi di Leonardo è diventato il dipinto più pagato della storia. Perché un romanzo e un film hanno universalizzato La ragazza con l'orecchino di perla che non è il Vermeer più bello. O perché imbrattare una statua, ormai, dà così tanta visibilità all'imbrattatore.
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