Giulio Mozzi: 60 anni - 61 il 17 giugno, data che anche narrativamente ha un senso - sette raccolte di racconti tra il 1993 e il 2020 (nel genere racconto è tra i più bravi in assoluto), tre di poesie, una decina tra saggi e manuali di scrittura (è stato fra i primi in Italia a fondare una scuola di scrittura creativa), un carattere diciamo così riservato, o forse addirittura non facile, migliaia di libri letti e corretti (editor princeps, è uno straordinario cacciatore di scrittori), un cammeo, nel ruolo di uno psicologo, e vorrà pur dire qualcosa, nel film Primo amore, anno 2004, di Matteo Garrone; diverse consulenze editoriali, fra cui Einaudi e Marsilio, e tardivo, sofferto, necessario, forse ineludibile dopo così tante pagine scritte, riscritte, tagliate, corrette, ecco un romanzo («È l'opera della mia vita, senza tanti giri di parole») entrato nella dozzina del premio Strega: Le ripetizioni (Marsilio), 368 pagine di cui cinque-sei quasi insostenibili, ma poi ne parliamo e 23 anni di lavoro. Uno di quei romanzi scritti non per vendere, né in fondo per essere premiati, e neppure per essere recensiti (non crediamo a Mozzi interessi molto). Ma, come le opere ambiziose, per restare.
Resterà?
«Non lo so. So che quando mi sono rimesso a scrivere, dopo tanto tempo in cui per vari motivi mi ero fermato, ho detto: Devo fare un romanzo che sia quanto meno impeccabile. Che si possa dire Mi piace o no, ma non che non è fatto bene o che lasci indifferenti».
Le ripetizioni è la storia di un personaggio, Mario, del quale si raccontano, o ricordano, in 40 capitoli, altrettante storie, molte accadute il 17 giugno, ma non in una precisa sequenza temporale.
Che storia è?
«È la storia di un personaggio che si chiama Mario, che va a Roma e poi ritorna».
Non c'è trama.
«Non proprio. Ma gli episodi che si susseguono offrono al lettore informazioni sempre contrastanti, o ambigue, e lo costringono, di capitolo in capitolo, a ridefinire quello che aveva compreso fino ad allora; e nello stesso tempo gli mettono davanti ogni volta un mistero che lo obbliga a continuare. Il resto non so, ma dal punto di vista della tensione che si crea nel romanzo, sono soddisfatto».
Ci hai lavorato vent'anni.
«Nel '98 misi insieme un primo testo, in parte in forma di collage, e scrissi un po' di pagine su uno dei personaggi centrali del libro, Santiago, tra cui la scena finale».
«La storia della bambina». Pagine dure da leggere, al limite della sopportazione. Infatti l'ultima frase del romanzo è: «Adesso, basta».
«Le diedi a un editor. Mi rispose: Una cosa così spaventosa non posso pubblicarla. Mi dissi: Ho sbagliato qualcosa . Potevo provocare sofferenza, quello sì. Ma non repulsione. Così mi fermai. Ci rimisi mano nel 2002: passai dalla terza alla prima persona. E poi commisi un grosso sbaglio. Cercai di eliminare Santiago, nella convinzione che l'errore fosse lì».
Chi è Santiago?
«Semplicemente è il diavolo. Una persona che fa il male, lo procura, senza ragione se non per il gusto di farlo. È una rappresentazione del Male come qualcosa di così immotivato che stenti ad accettarlo. Nel tempo della sociologia, il nostro, cerchiamo sempre traumi, un motivo. Invece Santiago è così e basta. Fa il male perché non sa fare altro».
Mario invece chi è?
«Mario è incapace di compiere una scelta. Che forse è l'aspetto più tragico del romanzo. Nel contempo Mario è ansioso di servire: e serve chiunque. Viola gli chiede di sposarlo, e lui dice va bene. Bianca gli chiede di assumersi la paternità della figlia, e lui dice va bene. Santiago gli chiede di servirlo, e lui lo fa. Mario è privo di una volontà propria, anche se la cosa non gli impedisce di essere affettuoso».
Dopo la lunga pausa di scrittura, cosa è successo?
«Tornai sul romanzo nel 2005, scrivendo una lunga introduzione di cui ero fiero. E che poi buttai. Scrissi altri capitoli, ma di nuovo non riuscivo a trovare il bandolo della storia. Nel frattempo in quegli anni scrissi altri testi che se anche avevano altre destinazioni inconsciamente stavano dentro l'immaginario del romanzo. Nel 2011 smisi di lavorarci, troppo preso da altre cose della vita. Poi Greta Bertella mi ha convinto a ritirare fuori il materiale accumulato, e nell'autunno del 2018 scrissi il capitolo iniziale. Ed ecco il problema: come mettere insieme il tutto?».
Le ripetizioni è un romanzo di montaggio.
«Edoardo Zambelli, che è lo scrittore più sottovalutato che ci sia, lesse tutto, mi fece una proposta di montaggio, che in parte scartai e in parte utilizzai. I mesi di giugno e luglio 2020 sono stati decisivi: le due redazioni, che facevano in tutto 250mila battute, con episodi che spesso si sovrapponevano, sono diventate un romanzo di 600mila. E sono fiero di quanto sia grosso».
A Mario, che legge molto in treno, piacciono ormai solo romanzi lunghi.
«Mario patisce la propria incapacità a presentare a se stesso la propria storia, per cui apprezza romanzi lunghi, che rappresentano la strutturazione di un'esistenza. Ama ciò che non ha».
Mario preferisce leggere libri che offrono una resistenza, anche linguistica: «I libri le cui intenzioni si scoprono subito, non li finisce». Cos'è lo stile, per te?
«Sostanzialmente tutto. Quando ho un'immaginazione nella testa non riesco metterla sulla pagina finché non trovo il passo giusto per scriverla. Per Le ripetizioni ho deciso di usare diverse forme, a seconda dei vari capitoli: alcuni con frasi molte lunghe, altri fittamente dialogati, altri senza dialoghi, alcuni con una narrazione piana, altri con dei lunghi indiretti liberi A ogni contenuto, la sua forma. Ormai siamo ormai abituati a romanzi raccontati da più punti di vista. Il mio ha l'ambizione di essere raccontato da più narratori».
Nota personale. Giulio Mozzi ha costruito un romanzo complesso dal punto vista della struttura, impeccabile da quello narrativo ed elegante da quello sintattico. Abbiamo contato frasi, perfette, di 35 righe e oltre. La nostra opinione, giornalistica, è che un solo capitolo delle Ripetizioni polverizzi qualsiasi romanzo della dozzina dello Strega 2021. Fine della nota personale.
Il romanzo riflette su tante cose. Soprattutto sulla finzione. Ed è pura finzione.
«Tommaso Pincio di recente notava che sempre più i romanzi italiani prendono spunto dall'attualità e dalla storia recente. Storie realistiche, mischiate al documentario. Forse non siamo più capaci di sopportare il trauma della finzione, diceva. Io invece ho voluto fare finzione. Usando tutte le risorse di cui sono capace per farmi credere dal lettore, ma facendo finzione».
Mario si chiede se non sia il fantasticare stesso il fondamento e l'origine della vita.
«La risposta è sì. Io sono figlio di due biologi. Fin da piccolo ho appreso l'approccio scientifico alle cose e so che fantasticare è un'importante attività scientifica: è fantasticando che si costruiscono e si esplorano le ipotesi che poi si validano o invalidano con metodi teorici o empirici. Il problema di Mario è che lui accumula fantasticazioni ma non valida niente. E le sue storie continuano a biforcarsi, a espandersi nel tempo».
«Solo se non si trova ciò che si cerca si dà luogo a una storia». È una frase del romanzo. Cos'è il narrare?
«Una delle forme della conoscenza più importanti, insieme a quella scientifica e a quella speculativa. Un modo per mettere ordine negli eventi in modo che abbiano una loro plausibilità».
Nota finale. Il Comitato direttivo del premio Strega ha ritenuto che il romanzo di Mozzi «per i temi trattati» sia adatto esclusivamente a un pubblico adulto. Forse li turba il capitolo in cui si fa sesso coi cani prima di sgozzarli. O quello in cui si fa lo stesso con una bambina (forse li preoccupa più la prima cosa della seconda).
La letteratura deve solo consolare o anche turbare?
«Certo che deve sconcertare. Dopo di che: quando ero piccolo leggevo Salgari. Ogni età ha i suoi piaceri diceva Nicolas Boileau. Il premio ha fatto le sue scelte, era nelle sue facoltà».
Non si esagera con tutela, buonismo, ipocrisia?
«Nel 1998 a causa di un mio racconto, Amore, inserito nel libro Il male naturale in cui descrivevo un rapporto sessuale tra un bambino e un adulto, un senatore della Lega fece un'interrogazione parlamentare. D'Alema rispose in modo vago e annoiato.
E l'editore, Mondadori, sostanzialmente arrestò la promozione Eppure il libro fu letto da alcuni giovani scrittori, che negli anni mi hanno detto che per loro era stato decisivo. E nel 2012 è stato ripubblicato da Laurana. La letteratura trova sempre i suoi percorsi e i suoi lettori».
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