Le "Mine vaganti" finiscono a teatro (e si ride di più)

Ozpetek riadatta il successo cinematografico per il palco. In scena, Pannofino e Iaia Forte

Le "Mine vaganti" finiscono a teatro (e si ride di più)

«La prima volta che raccontai la storia di Mine Vaganti al produttore cinematografico Domenico Procacci, lui rimase molto colpito, aggiungendo, entusiasta, che sarebbe potuta diventare anche un ottimo testo teatrale. Poco dopo avviammo il progetto del film e chiamammo Ivan Cotroneo a collaborare alla sceneggiatura...». Le parole di Ferzan Ozpetek, quando ricorda la genesi di una delle sue pellicole di maggior successo, suonano preconizzanti nel giorno del debutto di Mine Vaganti sul palcoscenico del Teatro Manzoni di Milano. Il rapporto tra cinema e teatro è da sempre un territorio controverso, non sempre felice, soprattutto quando scivola sul crinale del facile escamotage, quello dell'attore/attrice-star funzionale al botteghino. In questo caso il discorso è inverso e la sfida si fa più avvincente, poiché traslare sul palcoscenico un successo cinematografico (due David di Donatello e cinque Nastri d'argento), nato da un film corale realizzato con un cast di eccellenza composto da nomi come Riccardo Scamarcio, Elena Sofia Ricci, Alessandro Preziosi e Ennio Fantastichini, è un percorso tutt'altro che in discesa. Una ragione in più per subire il fascino della versione pièce offerta dal regista italo-turco, sempre più attirato dal palcoscenico a pochi mesi dalla Ferzaneide, il suo monologo rappresentato agli Arcimboldi di Milano.

Intendiamoci, quella che è in scena fino a sabato 19 marzo è una compagnia di tutto rispetto: Francesco Pannofino nel ruolo di papà Cantone, tanto per fare un nome, o la napoletana Iaia Forte nel ruolo di sua moglie, (l'attrice è appena reduce dal capolavoro di Mario Martone Qui rido io). Nel cast, i due fratelli Cantone sono interpretati da Erasmo Genzini (il fratello minore di Antonio) e Carmine Recano (fratello maggiore di Tommaso); nel ruolo della nonna, il personaggio che a fine storia compie l'atto estremo di togliersi la vita mangiando, diabetica, un'enorme quantità di dolci, c'è il volto familiare di Simona Marchini. «Racconto storie di persone, di scelte sessuali, di fatica ad adeguarsi ad un cambiamento sociale ormai irreversibile - sottolinea Ozpetek - Le emozioni dei primi piani hanno ceduto il posto a punteggiatura e parole; i tre amici gay sono diventati due e ho integrato le parti con uno spettacolino per poter marcare, facendone perfino una caricatura, le loro caratteristiche». Mine Vaganti è uno dei pezzi forti del cartellone del Manzoni diretto da Alessandro Arnone, che all'indomani del lockdown teatrale si è rilanciato con una grande stagione volta ad ampliare il pubblico anche sotto il profilo strettamente generazionale.

Venendo alla struttura della pièce e all'inevitabile raffronto con il film, la messinscena non poteva che sottostare a inevitabili rivisitazioni e a qualche piccolo stravolgimento. A cominciare dal luogo in cui è ambientata la storia familiare della famiglia Cantone, proprietaria di un grosso pastificio e irrigidita dal provincialismo e dalle tradizioni borghesi, fino a quando l'equilibrio non sarà infranto dall'outing del maggiore dei figli, Tommaso, che si dichiarerà omosessuale. Nel film la storia corale è ambientata nel Salento, qui invece siamo nell'hinterland napoletano, «in un luogo dove un coming out ancora susciterebbe scandalo» scrive Ozpetek. Non si tratta ovviamente dell'unico accorgimento per un testo che andava modificato nella struttura e nei tempi per poter reggere la scena. «Ho dovuto lavorare per sottrazioni, lasciando quell'essenziale intrigante, attraente, umoristico - dice il regista - Ho tralasciato circostanze che mi piacevano tanto, ma quello che il cinema mostra il teatro nasconde, e così ho sacrificato scene e ne ho inventate altre, anche per dare nuova linfa all'allestimento».

Lo spettacolo, che ora si presenta con un cast rinnovato, ha alle spalle già ottanta repliche interrotte dalla pandemia. «È una sfida che è già stata vinta - dice Pannofino - perché abbiamo sempre riempito i teatri e nessuno ha mai dimostrato nostalgia della pellicola, anzi. La bellezza di essere sul palcoscenico è data dal fatto che, a differenza delle sequenze del film, ogni spettatore dalla propria poltrona vive la propria unica, irripetibile inquadratura della storia».

A fargli eco è Iaia Forte, una brillante e solida carriera teatrale cresciuta al fianco di giganti come Mario Martone, Luca Ronconi e Toni Servillo.

«In scena sono la madre di due bellissimi ragazzi che rappresentano il perno di una storia che è divertente e amara allo stesso tempo; ma qui sul palcoscenico, rispetto a quanto avviene davanti al film, forse si ride di più...».

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