Cultura e Spettacoli

"Il mio Festival senza folla. Se arrivassi ultimo? Sarebbe bello lo stesso"

Ieri sera ha cantato "Caruso" di Dalla: "L'ho scelta contro il parere di tutti"

"Il mio Festival senza folla. Se arrivassi ultimo? Sarebbe bello lo stesso"

In fondo Ermal Meta ha sempre Un milione di cose da dirti, come recita il titolo del suo brano in gara qui al Festival. Parla entusiasta come se fosse al debutto mentre è già salito sul palco dell'Ariston altre cinque volte (con gli Ameba4 nel 2006, con La fame di Camilla nel 2010, da solista nel 2016 e nel 2017, infine vittorioso con Fabrizio Moro nel 2018). Stavolta, prima esibizione e subito primo posto nella classifica parziale: «Ma ora non ci penso neanche» dice correndo tra un collegamento via Zoom e una chiacchierata al cellulare. Strano Festival anche il suo, da cantante prigioniero della pandemia: «Però anche questa volta il mio obiettivo non cambia: rimane sempre lo stesso ovunque sia e in qualunque modo mi esibisca» dice con il fiatone.

E qual è?

«Arrivare alle persone. Non sono venuto per un altro motivo».

Dicono tutti così.

«Ma io l'ho sempre detto, questo è il mio filo conduttore da quando ho iniziato a fare musica».

Non a caso ha una fan base sterminata e implacabile. Ermal Meta è uno dei più popolari sui social.

«Non c'è nessun primo posto che possa equivalere ad avere un pubblico che ti segue e viene ai tuoi concerti quando può. E lo scambio che ogni volta c'è tra me e chi mi segue resta una delle sensazioni più gigantesche e nobili che un artista possa provare nella propria carriera».

Ieri sera ha cantato Caruso di Lucio Dalla, che rientra tra i 10 pezzi più sconsigliati per chi fa cover. Troppo difficile farla in modo personale. E troppo facile farla male.

«Non a caso tutti mi hanno sconsigliato di farla. E infatti, l'ho scelta proprio perché tutti mi hanno sconsigliato di farla».

Il solito bastian contrario.

«Mi piace misurarmi con i miei limiti, altrimenti che gusto c'è».

Ieri Lucio Dalla avrebbe compiuto 78 anni.

«Già da bambino respiravo le sue canzoni. Che impressione ho di lui? Credo fosse un genio assoluto che faceva apparire normale la sua follia».

Mai conosciuto di persona?

«Mai. Ma una volta ho suonato in sua memoria a Bologna. Un suo parente mi ha fatto visitare la sua casa e mi ha indicato il suo bellissimo pianoforte: Lo vuole suonare?. Per me sarebbe un onore, ma non ho il coraggio di chiederlo. Dopo lo suonai: che emozione favolosa il pianoforte di Lucio!».

Torna al Festival dopo averlo vinto con Fabrizio Moro nel 2018.

«Allora mi ero divertito da matti. Fabrizio ed io siamo due buontemponi, ridiamo sempre, scherziamo, cazzeggiamo».

Adesso però è da solo.

«Ma mi diverto lo stesso, ho intorno collaboratori con i quali è uno spasso trascorrere il tempo».

Poi a Sanremo sembra tutto quasi fermo. Niente eventi. Pranzi e cene da soli.

«In effetti è una situazione totalmente diversa rispetto al solito. Pochi giri per strada, interviste solo a distanza, niente concerti. Insomma, non si può andare al Santa Tecla a suonare, a improvvisare, a fare tardi imparando musica».

Al Festival è diverso anche lo share tv. Quest'anno è in crisi.

«In realtà i risultati non mi sembrano così negativi. Siamo in una situazione unica e quindi non valgono i termini di paragone o i confronti. Forse il pubblico tv in questa fase ha abitudini diverse e, forse, lo scenario è diverso rispetto al solito. Ma credo che gli insuccessi siano altri».

Irama gareggia senza cantare. Se alla fine vincesse lui?

«Io direi bravo, beato lui. Minimo sforzo, massimo risultato».

E se Ermal Meta arrivasse ultimo?

«Sarebbe una figata uguale».

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