"Il mio film è leggero ma non superficiale"

Gabriele Muccino ha diretto "L'estate addosso", pellicola fuori concorso: "I critici? Fingo di fregarmene"

"Il mio film è leggero ma non superficiale"

da Venezia

Gabriele Muccino torna a Venezia, 17 anni dopo Come te nessuno mai, con un'opera «mucciniana» come nessuno mai dei suoi film, ma con più disincanto. L'estate addosso. Dentro c'è tutto il suo cinema: la gioventù, l'esame di maturità, le seghe, la prima volta, l'ultima estate felice, la colonna sonora di Jovanotti (Muccino ieri ha ricevuto il premio Soundtrack Stars della critica per il suo lavoro tra cinema e musica), la nostalgia, la Roma dei Parioli, l'America dei sogni. E in mezzo quattro ragazzi alla ricerca del senso della vita. «È la storia di quattro persone che vogliono scoprire il proprio futuro. Due italiani, compagni di classe, lui e lei, che dopo la maturità finiscono negli Stati Uniti, ospiti di una coppia di ragazzi gay. E alla fine dell'estate saranno cambiati tutti. È un film sui pregiudizi, sui diversi punti di vista del mondo».

I due ragazzi americani sono dovuti scappare dalle famiglie e dalla propria città per vivere insieme il loro amore omosessuale. Sembrerebbe una trama del 1986, non del 2016.

«La storia che racconto è vera, ed è successa in Louisiana due anni fa. Quindi...»

Quindi l'America è ancora omofoba e razzista.

«Certo che lo è».

E l'Europa?

«Di più, forse».

Che film è L'estate addosso?

«Un film leggero, ma per nulla superficiale».

La critica, essendo un film di Muccino, dirà che è un film superficiale ma leggero.

«La critica... Dico sempre, Fregatene. Ma non si può. Puoi fare solo fare finta di fregartene. Puoi cercare di non leggerla, ma è difficile. La vera critica, quella scritta bene, dovrebbe aiutarti a capire dove hai sbagliato e cosa devi o non devi fare nel prossimo film. Ma alla fine in questo è più utile il pubblico che la critica».

C'è il pubblico, c'è la critica, ma prima c'è l'industria del cinema... La conosci bene, ormai vivi più a Los Angeles che in Italia.

«L'industria del cinema è la cosa più cinica e vacua che esista. Dai tempi di Buster Keaton».

Ma tu ci sei dentro. Come ci stai?

«Come uno che sa che il gioco è sporco, ma con le sue regole. Il cinema è un'arena. O scegli di entrare e vincere, portando il pubblico dalla tua parte, o rinunci e stai sugli spalti a guardare lo spettacolo. Io ho scelto di stare nell'arena. Cercando di farlo con dignità e al meglio».

E questa è la tua ricerca del senso della vita?

«La vita è un'arena e una ricerca continua. Non è uno schema fisso, ma una serie infinita di varianti. E ogni film cerca di raccontarne una».

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