In fondo lo stile ce l'hai o non ce l'hai: Patti Smith ce l'ha. Magari ruvido. Sicuramente estroso, qualche volta retorico, sempre unico. Ieri, fresca del miglior disco da tanti anni (Banga, edito da Sony e consigliato senza se e senza ma), si è presentata a modo suo, scombussolata e dolce, parlando di tutto e portando ogni argomento un po' più in là. Ha qualcosa di impoderabile e unico, questa donna che è un simbolo controvoglia, è punk e conservatrice, è letterata e analfabeta, dotta o erudita o allieva, ha scritto che la «musica è riconciliazione con Dio» (nel disco Wave del 1979 inserì anche una foto di Papa Luciani) ma non si è mai riconciliata con niente. E forse per questo, a 66 anni portati dignitosamente malissimo, incontra i giornalisti e nessuno si distrae perché accidenti quanto fascino nelle risposte. Poi annienta con eleganza le domande maliziose che esigerebbero risposte antiberlusconiane parlando dei suoi prossimi concerti italiani (inizio oggi al Festival Collisioni a Barolo, provincia di Cuneo). E alla fine recita, così d'amblè, alcuni versi della sua meravigliosa People have the power. Tutti muti. Finché scatta una poderosa standing ovation che era impossibile evitare.
Insomma lei, Patti Smith, vive una rinascita artistica. Sarà mica che il fascino degli anni Settanta torna più vivo di prima?
«Qui in Italia suonano in questo periodo Bob Dylan, Joan Baez, BB King. E tutti mi hanno influenzato perché tutti ponevano domande. Sì, c'è un interesse sempre più grande per gli anni '60 e '70 perché credo che oggi i ragazzi cerchino più concretezza rispetto a prima. Dopo anni di consumismo materiale, forse è il momento di cercare risposte precise».
Domani sarà a Barolo per il Festival Collisioni. E domenica canterà a Bologna nel concerto in memoria delle vittime di Ustica.
«La mia non sarà una presenza politica. È una presenza che vuole portare calore umano. Quando, dopo casi così spaventosi come quello di Ustica, i nostri governi non possono darci risposte, non rimane che l'affetto per chi ha sofferto».
Tutto qui?
«Quando non c'è giustizia, le persone si riuniscono, pregano oppure fanno un concerto».
Lei ha viaggiato sulla Costa Concordia giusto poco prima del disastro dell'Isola del Giglio.
«Di solito non vado in crociera, ma Jean Luc Godard mi aveva invitato a bordo per girare un film. Dopo, quando ho saputo della tragedia, ho avuto il cuore a pezzi. Ho immaginato il dolore della piccola Dayana mentre stava morendo e la sofferenza di tutti coloro che erano a bordo. Senza considerare gli enormi danni ecologici che quel naufragio ha provocato».
Il suo cd Banga è stato composto proprio in quel periodo.
«Ed è stato molto ispirato da quanto avevo provato sapendo del naufragio. Specialmente nei brani Banga e Seneca».
Patti Smith, tra una settimana esatta sarà ospite del Festival Gaber a Viareggio. Una sorpresa.
«Neanche tanto. Gaber mi intriga e lo sto conoscendo sempre più golosamente. E c'è una canzone (Io come persona) che mi ricorda le riflessioni fatte quando ho composto People have the power con il mio marito Fred, che non c'è più. In tutta la sua carriera, Gaber ha sempre dimostrato il proprio coraggio e una lucidità enorme su quella che è la condizione umana».
La forza dell'umanità è sempre più forte nella vita, signora Smith. I suoi figli, ad esempio.
«Sono musicisti migliori di me».
E non se li può portare in tour?
«Mio figlio Jackson è un grande chitarrista e difatti il suo assolo in Maria è davvero notevole. Anche Jessica suona bene il pianoforte. Tutti e tre insieme suoniamo nella cover di After the gold rush di Neil Young. E vorrei che un giorno venissero con me a esibirsi qui in quella che considero la mia seconda patria».
Però lei è un'icona globale. Al punto che Johnny Depp suona in un brano del suo nuovo disco.
«Si intitola Nine, ed è dedicata al giorno del suo compleanno. Lui si è occupato delle parti di chitarra e batteria. Ci siamo incontrati a un mio concerto cinque anni fa e siamo diventati amici, anzi per me è come un fratello.
In fondo il vecchio rock era poesia fusa nella musica.
«E Jim Morrison era il principe dei poeti. Se proprio devo dirlo, ancora oggi mi riconosco nella sua stessa energia quando sono sul palco, ecco».
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