Cultura e Spettacoli

“Mona Lisa and the Blood Moon”: superpoteri, estetica cool e poco altro

Un miscuglio tra horror, fantasy e cinema Anni Ottanta/Novanta, che tiene desta l’attenzione giocando con colori fluo, stile metropolitano e musica heavy metal underground

“Mona Lisa and the Blood Moon”: superpoteri, estetica cool e poco altro

Oggi al Lido è stata la volta di Mona Lisa and the Blood Moon di Ana Lily Amirpour, un’altra pellicola, tra quelle in concorso, con protagonista un personaggio femminile.

Il film, indie-horror con qualche sfumatura psichedelica, è ambientato a New Orleans e si apre su una stanza dalle pareti imbottite, tipica cella da istituto psichiatrico vista in un’infinità di altri titoli. Al centro di questa piccola metratura color panna c’è una ragazza dai tratti orientali (Jeon Jong-seoche) che veste una camicia di forza. Attraverso un'ignara inserviente, nei primi minuti, abbiamo un assaggio delle doti soprannaturali della protagonista, che le permettono di far danni a ritmo di musica heavy metal.

Mona Lisa, questo il nome della paziente, divenuta una fuggitiva proprio nella scena iniziale appena raccontata, sembra quasi la Samara di “The Ring” di ritorno dal parrucchiere. Per fortuna andrà addolcendosi in itinere, assumendo sempre più i contorni di una ventenne comune, per quanto ignara del mondo da ben dodici anni, quelli trascorsi nell'isolamento dell’istituto in cui l’abbiamo conosciuta. Giunta in una città che ha nella sua essenza caratteristica proprio il caos e l’edonismo, Mona Lisa si imbatte in alcuni soggetti che altrove sarebbero fuori dai canoni ma che qui appaiono invece la regola. Il primo incontro significativo è con un giovane che la prende a cuore e che si rivelerà più avanti una sorta di cavalier servente. Pare confezionato come invito a non giudicare dalle apparenze, visto che è un mezzo spacciatore che si atteggia a deejay, guida un’auto-discoteca dai sedili zebrati e vive in una specie di tana del bianconiglio disegnata sotto acido. Più avanti, invece, figure maschili dall’immagine standard e quindi ipoteticamente più rassicurante non esiteranno, facendo branco, a trasformarsi nella feccia della società. L'affiatamento che la ragazza sperduta sperimenta poi con una spogliarellista (l’unica vera celebrità del film, Kate Hudson), racconta sì di una forma di solidarietà femminile ma viziata da vantaggi economici. Un'esperienza quest'ultima che, assieme alle precedenti, farà concludere all'alienata protagonista quanto sia "difficile farsi piacere le persone".

Giudizio da outsider valido per lei fino a quando sarà parte di una coppia pura, priva di malizia e secondi fini, quella con un undicenne. Non è un ragazzino qualsiasi, visto che parla come un adulto dotato di genio e maturità, il che magari lo rende artefatto e non troppo simpatico, ma ricorda certe caratterizzazioni un po' ingenue del cinema Anni 80 e 90. Grazie a lui è introdotto il tema del bullismo, di cui bisogna ammettere che il piccoletto dà una definizione candida ed efficace: “è quando qualcuno sa quale è la cosa di cui ti vergogni di più e inizia a prenderti in giro proprio su quella”.

La regista è d'origini iraniane, nascita britannica e naturalizzata americana. Probabile che da un tale crogiolo di culture derivino sia il suo amore per la contaminazione di generi, sia la predilezione per personaggi anomali.

Non c’è molto altro da cui lasciarsi prendere durante la visione: se a catturare l’attenzione sono più le magliette indossate nel film rispetto ai dialoghi in esso pronunciati, qualcosa è andato storto in fase di sceneggiatura.

Pieno di scene telefonate, “Mona Lisa and the Blood Moon” si lascia vedere, evitando la noia grazie a scelte musicali ed estetiche furbe, ma non trova una sua identità.

In sostanza è un film che scivola via, pronto ad essere dimenticato dopo aver inanellato una serie di dejavù relativi a pellicole molto più incisive, come ad esempio “Chronicle”.

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