Cultura e Spettacoli

Monroe, il mito di Hollywood che non ebbe un happy end

Bella e fragile ha incarnato un sogno che si è infranto. Ora rivive (con polemica) nel contestato film "Blonde"

Monroe, il mito di Hollywood che non ebbe un happy end

È un film hollywoodiano senza happy end, con una ragazza di 36 anni trovata morta nella notte tra il 4 e il 5 agosto, esattamente 60 anni fa, nuda, con la cornetta del telefono in mano, nel letto della sua villa acquistata appena sei mesi prima al numero 12305 della Fifth Helena Drive di Brentwood, distretto di Los Angeles, dove le piastrelle sulla soglia d'ingresso riportavano la frase, dalla Seconda lettera di San Paolo a Timoteo, «Cursum perficio» ossia «Ho terminato la mia corsa». La vita di Marilyn Monroe, nata Norma Jeane Baker o Mortenson, era iniziata il primo giugno del '26 con una serie di eventi familiari drammatici tra i quali una violenza subita da bambina, che forse l'hanno portata all'overdose letale di barbiturici. Mettendo da parte tutte le tesi complottistiche che la vogliono suicidata, con i fatti letti attraverso la lente deformata del rapporto con i due fratelli Kennedy (e d'altronde appena due settimane aveva cantato, «come una bambola vuota» ha scritto Monica Tretta, Happy birthday al Madison Square Garden per il compleanno di JFK), niente e nessuno potrà restituire quello sguardo bambino, sempre intimamente melanconico, dell'ultima diva che Hollywood ha costruito per essere apparenza, patina confortevole, superficie croccante di un mondo già in disfacimento.

All'inizio il capo della Fox, Darryl F. Zanuck, offriva le parti migliori a Bella Darvi di cui era innamorato, ma i film erano dei flop e fu così che ha scritto Truffaut «malgrado la Fox, ma grazie al pubblico, Miss Monroe diventò Marilyn». In pieni anni Cinquanta Marilyn Monroe nome nuovo, identità nuova conquista l'immaginario di una nazione e del mondo intero esprimendo una sensualità fatta di fragilità e di insicurezza perfetta per sogni e desideri sessuali poco complessi. Serializzata da Andy Warhol, il suo mito ha dato corpo a numerosi libri, documentari e film come l'atteso Blonde di Andrew Dominik che verrà presentato in concorso alla prossima Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica prima di andare su Netflix dal 23 settembre. Tratto dal grande romanzo omonimo di Joyce Carol Oates, ha come protagonista l'attrice di origine cubana, Ana de Armas, vista nell'ultimo 007, già bersaglio, dopo il lancio del primo trailer, di numerose critiche, soprattutto per l'accento. Ma in suo soccorso sono scesi immediatamente Brad Pitt, coproduttore del film, che l'ha definita fenomenale e il presidente della società che gestisce l'eredità dell'attrice: «Sembra che sia stata un'ottima scelta poiché cattura il fascino, l'umanità e la vulnerabilità di Marilyn».

Tre caratteristiche fondamentali che Marilyn Monroe ha saputo trasmettere al pubblico grazie a un pugno di film dopo le scandalose foto di nudo per il calendario Golden dreams del 1950. Eccola inedita dark lady in un abito rosso fuoco in Niagara (1953) di Henry Hathaway con uno dei suoi famosi numeri musicali (la canzone Kiss) poi proseguiti in Gli uomini preferiscono le bionde di Howard Hawks con le indimenticabili Diamonds are a girl's best friend e Bye bye baby per finire con la caratterizzazione più spinta della bionda svampita e cecata in Come sposare un milionario di Jean Negulesco, in una ricercata esasperazione comica che provocava nel pubblico un'indulgente sensazione di superiorità. Intanto nel 1954 un milionario lo sposa veramente, il campione di baseball Joe DiMaggio che già l'anno successivo mal sopporta il clamore suscitato dalla famosa scena della gonna svolazzante di Quando la moglie è in vacanza di Billy Wilder. È il periodo in cui Marilyn vuole migliorarsi con le lezioni di Lee Strasberg all'Actors Studio di New York e i risultati si vedono subito in Fermata d'autobus (1956) di Joshua Logan, la sua interpretazione più autentica e personale, mentre nella vita privata, e sulle copertine delle riviste di tutto il mondo, appare il grande commediografo Arthur Miller. Dopo il travagliato e sfortunato Il principe e la ballerina di Laurence Olivier è la volta del capolavoro A qualcuno piace caldo (1959) di Billy Wilder in cui Marilyn riesce a (di)mostrare la sua piena maturità artistica, comandando i tempi comici al fianco di due mostri della commedia come Jack Lemmon e Tony Curtis. Una carriera che, dopo Facciamo l'amore di George Cukor con Yves Montand, con cui ebbe una paparazzata storia d'amore, si conclude con il dolente Gli spostati di John Huston su sceneggiatura proprio di Miller in cui Marilyn fonde completamente arte e vita accanto all'amato Clark Gable complice in questo doppio lungo addio al cinema.

Purtroppo le crisi personali sempre più forti la porteranno al finale tragico già scritto: «I cani non mi mordono mai, solo gli esseri umani», aveva detto Marilyn un giorno a Truman Capote che l'aveva descritta come una «bellissima bambina» dalle mille insicurezze.

Commenti