La morte di Cristo è ancora un "caso"

Torna "Patì sotto Ponzio Pilato?", il bestseller di Vittorio Messori ricchissimo di dettagli storici

La morte di Cristo è ancora un "caso"

Nel 1992, molti anni dopo Ipotesi su Gesù, Vittorio Messori continuò la sua ricerca sul «caso Cristo» con un altro bestseller, Patì sotto Ponzio Pilato?, che la Ares oggi ripropone col sottotitolo Un'indagine storica sulla passione e morte di Cristo (pagg. 486, euro 19,90). L'indagine di Messori proseguì poi con la Resurrezione e un'opera su Maria, sempre di taglio storico e contenente, secondo lo stile dell'autore, un'infinità di dettagli e citazioni che rendono pressoché impossibile una recensione sintetica. Qui, perciò, possiamo limitarci solo a fornire qualche assaggio. Come questo: «Tutti i responsabili della condanna di Gesù conobbero la malasorte».

Morto Tiberio, Caligola sottopose a impeachment Erode Antipa su delazione del di lui fratello Agrippa. Erode, com'è noto, si era preso Erodiade, moglie di un altro fratello, cosa che Giovanni il Battista gli rimproverava. Erodiade, istigando sua figlia Salomé, aveva fatto decapitare il Battista. Accusato di tradimento in favore dei Parti, Erode fu destituito e mandato in esilio con Erodiade a Lione, «tra il freddo e le nebbie delle Gallie». Pilato, uomo di Seiano, aveva seguito la sorte del suo protettore: rimosso e chiamato a Roma a rendere conto. Gli andò bene che non fu ucciso come Seiano (ma non è sicuro); comunque, di lui si perse anche il ricordo. Caifa, sommo sacerdote, fu destituito da Vitellio, successore di Pilato. Era genero di Hanna, la cui famiglia si tramandava il sommo sacerdozio, ma che finì massacrata dagli zeloti cominciando dall'ultimo esponente, Anano, ucciso nel 67 per collaborazionismo coi romani. Tre anni dopo, Gerusalemme e il Tempio venivano distrutti, gli ebrei sterminati e i sopravvissuti venduti come schiavi in tutto l'Impero.

«Non abbiamo altro re che Cesare», avevano gridato a Pilato per convincerlo a crocifiggere Gesù. Ebbene, fu proprio Cesare a dar loro il benservito. Avevano complottato per far fuori Gesù, per paura che i romani venissero a «distruggere la Nazione e il Tempio». E i romani proprio questo fecero. Con un re che insegnava di dare «a Cesare quel che è di Cesare» il disastro non sarebbe successo. Se i Vangeli fossero stati una pia invenzione della comunità cristiana, come molti ancora credono, probabilmente avrebbero creato un personaggio olimpico, uno che, magari, davanti a Pilato si sarebbe prodotto in una performance oratoria da tramandare ai posteri, come quella di Socrate. Invece, stupendo anche Pilato, sta zitto. E viene venduto per trenta sicli, il valore di uno schiavo non qualificato. Un insospettabile Jean-Jacques Rousseau soleva dire: «Invenzioni, queste? Amici, non è così che si inventa».

Nel Vangelo si narra che i sinedriti avevano già in animo di catturare Gesù, ma temevano le folle. Era il tempo di Pasqua e a Gerusalemme erano convenuti ebrei da tutto il mondo, forse un milione di persone. E Gesù era diventato famosissimo per via dei miracoli. Ma ecco che cambiano idea e piano: Giuda si impegna a dire dove si trova. Potranno arrestarlo in sordina, di notte, e farlo condannare ai romani così da pararsi dai suoi ormai molti seguaci. Potrebbero lapidarlo loro, ma temono tumulti. Meglio farlo fare ai romani, contro cui il popolo non oserà ribellarsi. Se la narrazione evangelica fosse un'invenzione, avrebbe di certo utilizzato i canoni letterari dell'epoca. Così, Gesù si sarebbe nobilmente suicidato, mentre il crocifisso sarebbe stato Giuda. Infatti, nel Vangelo apocrifo detto di Barabba, è Giuda a finire in croce.

Ma i vangeli apocrifi, come ben sa Dan Brown, sono testi gnostici del II e III secolo, in cui compaiono espedienti narrativi come questo: Gesù bambino che si diverte a fabbricare uccellini di fango e poi dà loro vita (nei Vangeli autentici non ci sono miracoli inutili, e sull'infanzia di

Cristo tacciono: chi sa qualcosa è solo Luca, infatti riporta soltanto quel che ha sentito da Maria e che, ispirato, decide di narrare). Per il resto, non rimane che rimandare al testo di Messori, che è una vera miniera.

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