La morte di Danton uccise l'utopia della rivoluzione

In scena a Torino lo spettacolo di Martone tratto dal magistrale testo di Buechner. Che torna in libreria in una nuova traduzione

La morte di Danton uccise l'utopia della rivoluzione

da TorinoU n testo sulla Rivoluzione Francese. Che a vederlo in scena, nei primi minuti pensi: «Sono fritto». Quei pochi ricordi di scuola che abbiamo non saranno mai sufficienti a orientarci tra hebertisti e girondini. Un testo sulla Rivoluzione francese quasi totalmente filosofico, in cui solo a tratti irrompono poesia e innocenza. Sulla carta, un testo così oggi non ha speranze di successo. Ma un testo sulla Rivoluzione francese è pur sempre un testo sulla rivoluzione e pone domande di valore: l'idea si può affermare al di sopra dell'umano? Fino a che punto il dito insanguinato può indicare la strada per la virtù? Il tema non ha rivali. Purché il richiamo all'attualità, fortissimo, sia lasciato allo spettatore: quando riaccenderà lo smartphone, sarà un attimo fare il paio tra le teste mozzate dalla ghigliottina e quelle fatte a pezzi dalle bombe o dalle decapitazioni. E così, per un testo poco rappresentato e poco noto, si è creato subito l'evento. Pochi giorni di repliche al Carignano di Torino e la Morte di Danton di Georg Buechner con la regia di Mario Martone è tutto esaurito fino alla fine di febbraio. Alla biglietteria ripetono che se avessero un altro mese di cartellone riempirebbero sempre la sala da quasi 900 posti. La macchina messa in piedi dal regista napoletano di Noi credevamo e Il giovane favoloso è imponente. Trenta attori in scena e venti tecnici per oltre tre ore di spettacolo che hanno invaso lo storico teatro di Torino (ma saranno in scena anche allo Strehler di Milano dal 1 marzo) fin nel cortile, con i materiali di allestimento stipati all'aperto. La richiesta esplicita di una traduzione nuova di zecca, con la firma di Anita Raja, in libreria in questi giorni per Einaudi (pagg. 98, euro 10,50). Un programma di sala di 6 metri di lunghezza, composto da testi di Galasso e Walser; dai ritratti della compagnia commissionati al fotografo Mario Spada per ottenere un effetto nouvelle vague simile a quello ricercato per lo spettacolo; dagli inconfondibili disegni neo-illuministi di Ernesto Tatafiore sulla Rivoluzione francese. I cambi scena sono decine, segnati da giganteschi e pare molto costosi sipari vermigli, animati ogni pochi minuti da squadre di tecnici: «Le scenografie sono all'insegna di un realismo sociale necessario per Buechner, per il quale gli ambienti contano anche per la loro materialità», spiega Martone. «E l'idea dei sipari è funzionale ma indicativa dell'incubo: si aprono uno sull'altro, senza fine».In scena, un Giuseppe Battiston carnale e appassionato dà corpo a Danton, mentre un superlativo Paolo Pierobon innerva Robespierre. E poi ci sono anche Alfonso Santagata, Paolo Graziosi, Roberto De Francesco, Ernesto Mathieux, Iaia Forte. Tutti al servizio, più che dell'azione, della parola potente, moderna, scientifica eppure allusiva, dell'autore. Il Danton di Buechner ha un occhio alla Costituzione e l'altro ai piaceri della vita, specie alle puttane che frequenta in gran numero, nonostante adori la moglie Julie (Iaia Forte). Robespierre è il «poliziotto del cielo» che lo bracca senza sosta, ma non lo finirebbe, non fosse per le terminali richieste di Saint-Just. Dopo un processo-farsa e scene di popolo e speculazione degne delle Operette morali, si chiude sulla ghigliottina.Il fuoco è chiaro: da che parte stare? Martone non si schiera e Buechner (nato nel 1813), autore di uno dei testi più amati da ogni generazione di teatranti, l'incompiuto Woyzeck (che anche Martone mise in scena oltre un quarto di secolo fa con Vittorio Mezzogiorno), era combattuto tra il maniacale fondamentalismo di Robespierre e la tollerante umanità di Danton («La spada e la pancia», ricorda Martone della statua dedicata a Danton a Parigi al Carrefour dell'Odéon). Quando scrisse questo testo, nel 1835, era un radicale e un attivista, costretto all'esilio. Tuttavia comprende le ragioni di entrambi e a entrambi affida battute magistrali: «Chi in questo momento trema è colpevole» ribatterà Robespierre alla Convenzione «Perché l'innocenza non trema mai davanti alla vigilanza pubblica».

«Ci sono solo epicurei - esclama Danton nell'unico sincero dialogo con Robespierre - e per la precisione epicurei rozzi ed epicurei raffinati, Cristo è stato il più raffinato; questa è l'unica distinzione tra esseri umani che io riesco a vedere».

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