Morto Cesare De Michelis, critico col fiuto del bestseller

Editore e professore raffinato, era infallibile su ciò che vende. Scoprì Susanna Tamaro e Stieg Larsson

Morto Cesare  De Michelis,  critico col fiuto del  bestseller

Mi piaceva considerarlo un uomo fortunato, non certo per sminuirne gli evidentissimi meriti personali ma perché nell'ambiente intellettuale guai e lamenti sovrabbondano e conoscere un letterato-editore capace di dichiarare una biografia felice mi allargava il cuore.

Già nascere a Dolo suona di buon auspicio: paese ameno della riviera del Brenta, pullulante di ville patrizie, a metà strada fra le due straordinarie città in cui si svolse gran parte della non ordinaria vita di Cesare De Michelis, ossia Padova, dove fu professore universitario di letteratura italiana fino al 2013, e Venezia, dove fu editore (anche dei miei libri) fino a ieri. In verità i genitori abitavano in laguna, la madre decise di partorire fuorisede nell'ospedale dello zio primario ma non importa, Dolo resta un ottimo inizio. Dunque bisogna parlare del clan De Michelis, ricco di fosforo e stimoli e libri da molte generazioni. Il nonno Cesare era un pastore evangelico, lo zio Eurialo un narratore che pubblicava per Bompiani e Neri Pozza, la madre Noemi, rara avis, una dirigente d'azienda.

Cesare e i suoi quattro fratelli approdarono agli studi universitari forse nel momento migliore della storia dell'istituzione, ovvero poco prima dell'università di massa: tutti e cinque si laurearono brillantemente e tutti e cinque salirono in cattedra subito dopo, a cominciare dal primogenito Gianni, futuro vicepresidente del Consiglio e soprattutto figura epocale degli anni Ottanta. Nell'Italia degli insegnanti precari a vita non ci si riesce a credere. «Iniziammo la carriera universitaria nella convinzione che non c'era lavoro al mondo che garantisse meglio l'indipendenza». Che tempi! E quanta libertà! L'anomalia della cattedra-lampo è preceduta dall'anomalia della tesi: una volta il capo della Marsilio mi raccontò compiaciuto di essersi laureato con una tesi completamente priva di note, privilegio allora riservato ai talenti indiscutibili e oggi, in una università rimbecillita dalla burocrazia, impensabile per chiunque.

Oltre che in famiglia, De Michelis fu fortunato anche a scuola: appena ventunenne fondò la rivista Angelus novus con un ex compagno di classe, un certo Massimo Cacciari. Appena ventiseienne, nel 1969, assunse la direzione della Marsilio, casa editrice fondata a Padova da un gruppo di personaggi fra i quali Toni Negri, ehm, per darle la sua impronta e spostarla di 40 chilometri. L'uomo fortunato portò fortuna a Venezia, città dove sono nati gli editori, i tascabili, il carattere corsivo, ma che senza di lui sarebbe oggi un nulla editoriale: «Quando cominciai lo sapevo e non lo sapevo che la Serenissima era stata la patria del libro. Quando vi trasferii la Marsilio da Padova, la casa editrice era pressoché sola e tale in sostanza è rimasta durante questi anni, nel segno di una tradizione che, mi illudo, non ho lasciato si spegnesse del tutto».

Umanista e imprenditore, grande veneto, uomo simpatico, editore libero da pregiudizi ideologici: che fortuna averlo incontrato! Non credevo ai miei occhi quando nel 2013 venne a presentare il mio Eccellenti pittori a Follina, provincia di Treviso, nello spazio di Giovanni Gregoletto. Era già acciaccato e il libro non appariva certo cruciale per le sorti della casa editrice eppure venne, credo per amicizia, stima, reale interesse verso il contenuto delle pagine. Ha portato fortuna a molti altri autori non precisamente da classifica che in Marsilio sono stati pubblicati a prescindere dalle prospettive di vendita: grazie al suo fiuto e al suo sincero amore per la narrazione scovava bestseller (Susanna Tamaro, Margaret Mazzantini, Stieg Larsson...) che indirettamente andavano a finanziare libri più difficili. Mi vengono in mente un paio di titoli di Geminello Alvi, uno dei massimi e massimamente misconosciuti prosatori della nostra lingua, pubblicati per ragioni del tutto extra-commerciali. Ragioni nobilissime: De Michelis, lo si legge nel suo Tra le carte di un editore, teorizzava la necessità di garantire uno spazio ad autori «che abbiano altri interessi e visioni, vale a dire un'idea umanistica della cultura e della vita».

Nell'ultima lezione tenuta all'università di Padova, intitolata «Ascesa e caduta della grande letteratura italiana», si mostrò ben consapevole dello stato pre-comatoso delle patrie lettere eppure non esortò alla resa.

Le ultime frasi già allora mi colpirono, e a rileggerle ora mi si accappona la pelle: «Siamo di fronte a una svolta, a un'autentica metamorfosi, a una vera e propria soluzione di continuità che investe non solo la letteratura e impone risposte all'altezza, spregiudicatamente restaurative, nel senso, cioè, di un rinnovamento della tradizione, di un imprevedibile nuovo rinascimento che impegnerà a lungo tutte le nostre, le vostre, risorse. Coraggio, percorrere questa strada ora tocca a voi».

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