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Morto Gato Barbieri, re del jazz tra free e latin

Vinse un Grammy per la colonna sonora di «Ultimo tango a Parigi»

Antonio LodettiÈ suo il lirico assolo di sax nella Sapore di sale di Gino Paoli arrangiata da un giovane Morricone; è conosciuto al grande pubblico per la colonna sonora di Ultimo tango a Parigi con cui ha vinto un Grammy... Ma per gli appassionati di jazz è stato una delle voci più personali, fluenti e libere del sax tenore l'argentino Gato Barbieri, scomparso a New York a 83 anni per una polmonite. Le radici di Barbieri (partito dal sax contralto) sono inequivocabilmente sudamericane - fondamentale il suo recupero dei suoni argentini ma anche del folklore andino e brasiliano - ma si sposano al meglio con i fermenti dell'avanguardia afroamericana, come sottolineano le sue collaborazioni con Don Cherry, Dollar Brand (epica l'incisione di Hamba Khale dello stesso Brand), Roswell Ruud e moltissimi altri. Nell'Argentina degli anni '50 (dove lavora tra l'altro con l'orchestra di Lalo Schifrin) Gato era una mosca bianca. Amava la pionieristica Round About Midnight di Miles Davis e John Coltrane mentre i suoi amici dicevano: «Davis non ha swing e Coltrane è un pazzo». Profondamente legato alle radici sudamericane, era un cittadino del mondo, e ha vissuto a lungo a New York e persino in Italia, dove arriva nel 1962 conquistando tutti con «una nota rotonda, possente, incredibile», come scriverà Musica Jazz e suonando con tutti i più grandi artisti italiani, da Enrico Rava al pianista Franco D'Andrea (uno dei suoi musicisti preferiti). La fama internazionale la ottiene con il trombettista Don Cherry e con dischi «free» molto elaborati come Togetherness. È Cherry che lo porta per la prima volta a New York (Barbieri non conosce una parola di inglese) dove incide in quartetto - con Henry Grimes al basso e Ed Blackwell alla batteria - un altro capolavoro come Complete Communion. Il primo disco a suo nome è Search of the Mistery, caratterizzato da suoni informali, fuori registro, da un suono urlato al limite dell'ossessione. Come ha sottolineato Marco Mangiarotti nel fascicolo con disco a lui dedicato nella collana I grandi del jazz, Gato Barbieri stava maturando la più bella voce strumentale del suo tempo.

Lo farà arrivando ai confini dell'avanguardia (ma anche con un pizzico di latin rock, collaborando ad esempio con Carlos Santana) ma anche scandagliando per intero, alla sua maniera, l'universo secolare e folklorico sudamericano, conquistando così l'anno scorso, il Latin Grammy per la sua eccellenza musicale. In quell'occasione l'anziano sassofonista - ormai a riposo - dichiarò che ricevere quel premio alla sua età era «una cosa sublime».

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