Il 2019 è stato un anno assai funesto per l'arte contemporanea. Ci hanno lasciato diversi protagonisti del secondo novecento. E il 2020 comincia allo stesso modo. Del 2 gennaio la notizia della scomparsa a Venice, California, di John Baldessari. Aveva 88 anni -nato nel 1931- ed era considerato uno degli ultimi grandi maestri in America. Un gigante, anche di statura, lunghi capelli e barba bianca, personalità sciamanica, finissimo teorico, docente alla Cal Arts di Valencia e a Los Angeles dove formò generazioni di studenti che, a loro volta, divennero artisti influenti nei decenni successivi, come David Salle, Eric Fischl, Mike Kelley e i fondatori della rockband Sonic Youth, Thurston Moore e Kim Gordon.
A dimostrazione che nell'arte contemporanea le definizioni sono spesso precarie e superflue, non si riesce a inquadrare facilmente l'opera di John Baldessari. Concettuale senza dubbio, ma anche pop. Poteva usare qualsiasi mezzo, della fotografia al video, dalla performance alla pittura, e proprio da pittore venne scelto nel 1999 da Francesco Bonami e Judith Nesbit come fulcro per una mostra molto importante a Londra e Chicago. Il titolo, Examinig Picture, venne prelevato proprio da una sua opera, un quadro su cui l'artista aveva scritto a carattere stampatello la propria definizione di pittura, introdotta innanzitutto da alcune domande: «First of all. What do pictures consist of? What are they all about?». Ci sono tanti modi di dipingere, spiega Baldessari, non soltanto riprodurre immagini o stendere forme astratte su una tela; tutto parte, comunque, da un ragionamento di natura teorica e concettuale. Molto conosciuto e stimato in Italia, fin dal 1973 quando l'editore Giampaolo Prearo pubblicò uno dei suoi primi multipli, nel 2009 venne insignito del Leone d'oro alla carriera alla Biennale di Venezia, mentre nel 2011 fu al centro di una polemica e di un'azione giudiziaria relativa alla sua mostra personale presso la Fondazione Prada, in cui replicò in scala monumentale alcune sculture di Alberto Giacometti rivestendole con abiti di sartoria. Omaggio o plagio? Se ne parlò a lungo, ma l'operazione di Baldessari seguiva in scia la questione mai risolta del readymade in un linguaggio dove originale e copia non hanno più senso di esistere. Contestarla è come contestare l'arte contemporanea.
È giusto ricordare Baldessari più per l'atteggiamento critico, polemico, irriverente e antiaccademico nei confronti dell'arte e non per qualche opera in particolare. A dimostrazione di quanta distanza volesse prendere dal proprio lavoro, bruciò buona parte dei suoi lavori giovanili per poi riutilizzarli in The Cremation Project nei modi più assurdi, ad esempio producendo biscotti.
A questa tendenza super-concettuale si sovrappone lo sguardo pop in particolare nel rapporto con i media: Baldessari utilizza materiali fotografici da quotidiani, riviste, inquadrature di film e la ricontestualizzazione di tali frammenti provoca altri cortocircuiti visivi, altri significati. C'è una sorta di statement che potrebbe definire alla perfezione il personaggio Baldessari: «I will not make any more boring art». Odiava l'arte noiosa e detestava annoiarsi con l'arte.
Ha lavorato fino agli ultimi anni, fino a che lo ha assistito la forma fisica. Nel 2016 si presentò a Miami Art Basel su una BMW customizzata con i colori dei suoi quadri e la scritta FAST sulla fiancata.
Testi, immagini, architettura, formule matematiche, linguaggio, storia dell'arte del novecento riletta in chiave postmoderna, gioco, teorie della percezione: un lavoro estremamente complesso e articolato, spesso divertente, mai saccente. Sarà difficile trovarne un discepolo, nonostante in molti abbiano studiato da lui.
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