Morto il teologo svizzero che si ribellò a tutti i Papi

Contestava il dogma dell'infallibilità. A lui si ispira lo scisma strisciante nei Paesi di lingua tedesca...

Morto il teologo svizzero che si ribellò a tutti i Papi

Non so voi ma io sono di quelli convinti che, salvo abbastanza rare eccezioni, l'abito faccia il monaco: dunque non sono mai riuscito a crederci fino in fondo al fatto che Hans Küng fosse un sacerdote, come invece le enciclopedie garantiscono. Molto fotogenico, sembrava un politico di successo (notevole la somiglianza con l'ex cancelliere Willy Brandt, però più stempiato), o un attore protagonista di telefilm della Repubblica Federale, o un banchiere di Francoforte con un Von nel cognome. Nella più religiosa delle ipotesi, un teologo protestante alquanto mondano. E invece era proprio un sacerdote cattolico, ordinato nel 1954 addirittura a Roma, dopo studi da immaginarsi brillanti alla Pontificia Università Gregoriana. Prima Messa addirittura in San Pietro, e data l'epoca e visto il luogo non c'è da dubitare che si sia presentato in abito talare. Cominciò a deviare platealmente subito dopo, addottorandosi a Parigi con una tesi che difendeva la dottrina del teologo protestante Karl Barth. In altri tempi lo avrebbero accompagnato alla porta, o peggio; e invece in quel tempo già di autodemolizione ecclesiastica venne nominato a soli 32 anni professore ordinario di Teologia cattolica a Tubinga, la piccola città universitaria tedesca dove è morto ieri. Come dire una volpe a guardia del pollaio. La già rapida carriera ebbe un'ulteriore accelerazione quando, poco dopo, venne invitato a partecipare al Concilio Vaticano II in qualità di esperto. In un suo libro di memorie raccontò quella fondamentale esperienza: «Escogitavamo piani sul modo in cui aggirare la strategia curiale sul Concilio». Nel giorno della sua morte dovrei sforzarmi di essere misericordioso e comprensivo, me ne rendo conto, ma non è colpa mia se queste sembrano le parole di un guerrigliero anziché di un uomo di preghiera. Non è colpa mia se il personaggio era contrassegnato da quella che Vittorio Messori, dopo un contatto ravvicinato, definì «virulenza». Lo storico Roberto De Mattei racconta che Küng in quel periodo si vantava di aver posto a un collega luterano la seguente retoricissima domanda: «Se Lutero vivesse oggi, sentirebbe il bisogno di uscire dalla Chiesa cattolica per promuovere una riforma o tenterebbe la riforma dall'interno della Chiesa?».

Chiaro che il teologo svizzero-tedesco (era nato nel 1928 a Lucerna) e gli altri teologi nordeuropei dell'audace pattuglia (innanzitutto Karl Barth) si guardarono bene dall'uscire da una Chiesa così accogliente, anzi accomodante, e provarono a protestantizzare il bimillenario organismo dal di dentro. Almeno in parte ci riuscirono (chi ha presente l'abissale differenza tra la Messa tridentina e la Messa postconciliare ha capito di cosa parlo). Ma evidentemente non era ancora abbastanza se per tutto il resto della sua lunga vita Küng ha preteso ad alta voce un Concilio Vaticano III che dissolvesse il resto del dissolvibile, minando i già incrinati bastioni della dottrina, dopo aver attaccato il dogma dell'infallibilità del Papa, con potenti esplosivi quali sacerdozio femminile, matrimonio omosessuale, aborto, eutanasia (esplicitamente teorizzata nel libro Morire felici? Lasciare la vita senza paura).

Se di Hans Küng ne sapessi meno, se nel corso del tempo non avessi letto i libri di De Mattei e di Messori, e le interviste rilasciate agli adoranti giornalisti di Repubblica, questo necrologio starebbe venendo molto meglio. Ignorare aiuta a formulare lodi generiche, e quando si tratta di stendere veli pietosi la conoscenza è un impaccio. Cercherò comunque di salvare qualcosa nel percorso intellettuale di questo prete cattolico-anticattolico che, si noti bene, non fu mai scomunicato, di questo professore come minimo eterodosso a cui venne soltanto imposto di cambiare aggettivo al suo corso: da Teologia cattolica a Teologia ecumenica. Qualcosa di buono lo troverò senz'altro: ma dove? Scartabello qui, scartabello là, ed eccoci: il suo rapporto con Joseph Ratzinger! Stessa lingua, stessa generazione, si conobbero durante il Concilio e fraternizzarono, anche se il futuro Papa era un riformista parecchio più moderato. Secondo me la cosa più bella che fece Küng in tutta la sua vita fu raccomandare Ratzinger per la cattedra di Teologia dogmatica all'università di Tubinga, il quale però resistette solo tre anni e poi, esasperato, si trasferì in sedi meno turbolente, meno cattocomuniste.

Küng da allora non fece che attaccarlo, gli diede del conservatore, del reazionario, del medievale, ma Ratzinger, o per mitezza o perché convinto della buona fede del soggetto, non se la legò al dito e addirittura, nel 2008, lo ricevette amichevolmente a Castel Gandolfo, come se nulla fosse successo. Volevo anch'io essere mite come Papa Benedetto XVI, non ci sono riuscito, sarà per un'altra volta.

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