Murgia, l'italiano medio che andava al massimo

Sguattero in un ristorante, baciato dalla gloria al cinema, maschilista per dovere professionale e per indole: un documentario al Festival del cinema di Roma racconta il più ignoto dei "Soliti ignoti"

«Prima ero un solito ignoto. Adesso sono un solito ignoto, ma di successo però». La vita di Tiberio Murgia è tutta qui. Ex muratore di Oristano (classe 1929) reso famoso nel 1958 da Mario Monicelli con il personaggio di Ferribotte in I soliti ignoti, è rimasto ostinatamente fedele alla sua maschera da commedia dell'arte lungo una carriera di quasi 50 anni e 155 film. Diventò noto come il sardo che mostra al mondo com'è fatto un siciliano: aria altera, baffetto, incarnato olivastro. E passione trascinante per la donna, anche e soprattutto fuori dal set.

Il 13 novembre, fuori concorso al Festival del film di Roma, arriva il documentario di Sergio Naitza L'insolito ignoto. Vita acrobatica di Tiberio Murgia. Un'ora e mezza di aneddoti di amici e colleghi (ci sono anche Claudia Cardinale, Lando Buzzanca e interviste di repertorio a Monicelli), di racconti dei familiari e dello stesso Murgia (scomparso nel 2010, gli ultimi anni li aveva passati in una casa di riposo a Tolfa), con l'apporto critico di Marco Giusti, Steve della Casa e Goffredo Fofi.

Una vita acrobatica che è anche la parabola di un cenerentolo nell'Italia arrembante dal boom economico in poi. Dall'infanzia povera a Oristano al primo matrimonio, e poco dopo la fuga, da moglie figli e Sardegna, destinazione Roma. Sguattero in un ristorante di via della Croce, Murgia fu toccato di striscio dall'ala della Dolce Vita: fu notato da Mario Monicelli, in fase di casting per I soliti ignoti. Durante le pause di lavorazione, intimidito dai mostri sacri Gassman e Mastroianni e dal cipiglio di Monicelli, Murgia stava in disparte, ma il giorno dell'uscita del film un produttore lo convocò e gli fece trovare un contratto per quattro pellicole. E fu l'inizio di una fantastica carriera da operaio del comico. Da Il ritorno dei soliti ignoti a La Grande Guerra, a La ragazza con la pistola, alla stagione delle commedie leggere degli anni '70, con Celentano e Franco e Ciccio, senza disdegnare la vague pecoreccia, da La soldatessa alle grandi manovre in poi. All'inizio degli anni '60, racconta Murgia nel documentario, arrivò a girare 14 film in 12 mesi: «Ho fatto il carabiniere, l'autista, il ladro, il pastore, il cowboy e anche uno dei sette nani».

In pochissime occasioni interpretò un sardo: quasi sempre fu doppiato in siciliano. E sempre la stessa rimase la sua maschera: una comicità affidata alle sopracciglia, alla posizione del mento all'insù: per una malformazione alle palpebre vedeva bene solo verso il basso (rifiutò ostinatamente di farsi operare). Un'aria impassibile un po' alla Buster Keaton e una padronanza perfetta dei tempi comici erano gli ingredienti da scafato comedian dell'arte.

Di impeccabile professionalità sul set, Murgia destinava tutte le energie avventurose alla grande passione della sua vita: la donna, con una predilezione per quella d'altri. Raccontava di aver preso parecchi schiaffoni dal padre di una sua fiamma rimasta incinta. E il padrone di una fabbrica arrivò a sparargli, mancandolo, per allontanarlo dalla camera da letto di una lavorante. Murgia ruppe poi con Franco Franchi che lo rimproverava con invidia isolana per le sue continue avventure. «Bigamo e di più», chiedeva al figlio di nascondere in casa la biancheria dell'amante quando la seconda moglie tornava per il fine settimana. Lasciò un numero imprecisato di figli illegittimi. Militante del Pci sin da ragazzino, diceva di essere stato espulso dal partito per aver avuto una relazione con la moglie d'un funzionario. Infine Maria de Filippi, durante un suo programma pomeridiano degli anni '90 presentò a un Murgia ormai anziano una sua antica amante cagliaritana. Murgia, che non si ricordava di lei, le disse: «Tu mi amavi?». «Sì». Risposta dell'attore: «E io?».
Il documentario restituisce in maniera commossa ma asciutta l'allure macchiettistico-dongiovannesca di Ferribotte. Nota dissonante, il «santone dell'ultrasinistra storica» (così su di lui Giovanni Raboni) Goffredo Fofi, in tutti i suoi interventi massacra Murgia: lo definisce imprigionato in un ruolo «maschilista in modo aberrante», attore che usa «motivi comici da terzo mondo».

Una fredda analisi venata di razzismo storico verso gli aspetti «retrogradi» della commedia all'italiana, quella di un Fofi in vena clericale. Chi una volta dettava la linea, ora se la piglia col caratterista. E se potesse, scommettiamo, lo espellerebbe dal Pci.

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