Mezzo secolo di suoni e poesia nella musica di Caetano Veloso e Gilberto Gil, tedofori della musica popolare (ma non solo) brasiliana con chitarre e voci che si inseguono tra grazia melodica e ritmi colorati, unendo l'eco pagana del carnevale e le sofisticate armonizzazioni del jazz, antiche suggestioni del candomblé e gli impulsi rivoluzionari della bossa nova. Due carriere infinite, che si riuniscono nella tournée Caetano&Gil. Two Friends, A Century of Music, che arriva in Italia con prestigiosi concerti come quello d'apertura il 10 luglio a Chieri (Torino) Area Festival dei Beni Comuni, il 14 a Milano al Festival di Villa Arconati e il 17 a Umbria Jazz.
Come vi siete conosciuti?
«La prima volta che vidi Gil fu in tv, dove già cantava in uno show serale di una emittente locale. Se appariva in tv mia madre mi chiamava: “Caetano, vieni, c'è quel ragazzo nero che ti piace tanto”. Era il 1963 e io pensavo che quel ragazzo fosse un genio musicale, capace di fondere le melodie di Jobim e Carlos Lyra con impeccabile gusto estetico».
Cosa vuol dire tornare a suonare insieme? Come è cambiato il feeling?
«Il feeling non è cambiato poi molto. C'è sempre una grande tranquillità fra me e Gil quando suoniamo insieme».
Cosa vi accomuna e cosa vi divide?
«Siamo allo stesso tempo molto uniti e molto diversi. Quando Gil è stato mistico, io ero l'antireligioso; quando si è innamorato della cultura orientale, io sono stato assorbito dall'Occidentalismo; quando ha fatto dischi pop overprodotti, io ho inciso cose amatoriali. Non litighiamo mai. Ci limitiamo a constatare, con divertimento, queste differenze. Ma alla base di tutto siamo cresciuti insieme con la bossa nova. Abbiamo deciso di prestare attenzione, nello stesso momento, al pop inglese e americano; siamo stati messi in prigione insieme e insieme mandati in esilio».
Come vede oggi il mondo della musica?
«Mi piacciono le canzoni. Continuo ad ascoltare Aracy de Almeida cantare Tres apitos di Noel Rosa, Ray Charles cantare Ruby, João Gilberto che canta qualsiasi cosa. Ascolto Björk, e Kanie West. Così riesco a vedere una scena più variegata. E disseminata su Internet. Ascolto anche molta samba e il funk carioca, così come l'elettronica del nord del Brasile».
Cosa pensa del rock?
«La seconda onda rock, quella che è iniziata con i Beatles, è stata una pietra miliare; ha cambiato il modo in cui ascoltavamo la musica. L'ondata degli anni '50 ha dato il via, ma sono state le band britanniche degli anni '60 a renderlo universale. Non sono stato un ragazzino rock. Ma da quando ho riconosciuto quella verità, nel 1966, non ho mai smesso di prestare la dovuta attenzione al rock».
Cosa rimane del movimento Tropicalista?
«La diversità. Il coraggio di essere avventurosi».
Progetti?
«Per ora in questo tour abbiamo scritto un brano inedito».
Cos'è la musica?
«La musica è mistero. Può dare conforto all'anima. Può infiammare e far irritare. È una delle più importanti cose inutili del mondo».
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