Né d'autore né pop. Solo film di scarto

Fischi, ironie e stroncature per il cinema italiano passato dalla kermesse. Tutt'altro che internazionale

Né d'autore né pop. Solo film di scarto

I festival sono prolungamenti della politica nazionale. Se ormai si registra una netta divaricazione tra popolo e politici, parimenti da anni si nota un iato tra fruitori del prodotto cinematografico nazionale e chi, per forza, vuol continuare a proporlo in modi e forme superate da tempo. Se ne è avuta riprova in questi giorni di kermesse capitolina, sull'orlo di una crisi di nervi ogni volta che si proiettava in sala un lavoro tricolore, ammesso al concorso. Fischi e lazzi, proteste e defezioni hanno accompagnato la proiezione di E la chiamano estate di Paolo Franchi e quella de Il volto di un'altra di Pappi Corsicato: si tratta di film che andranno in sala. E che sono stati scelti di corsa, all'ultimo momento, tra gli scarti trovati rovistando nel pronto-subito nazionale. Niente di autoriale davvero, insomma, nulla di particolarmente degno di figurare in bella mostra, a una rassegna che doveva sprovincializzare la festa porchettara voluta dal duplex Bettini-Veltroni, stando alle dichiarazioni del neodirettore Marco Müller.
Quanto ai «giovani» cocchi del cinema italiano, basculante tra fruste icone della sinistra come Pier Paolo Pasolini e Walter Veltroni, gioie non se ne sono avute: critica tiepida sul film terzomondista di Claudio Giovannesi, Alì ha gli occhi azzurri e come una sensazione da tamburino sardo, che deve aiutare l'esercito in difficoltà, nel caso del film di Susanna Nicchiarelli, La scoperta dell'alba, tratto dal romanzo di Veltroni. Quanto all'esordio di Carlo Lucarelli, basti dire che lui ha dovuto perfino chiedere scusa. Per dirla con la neoproduttrice Nicoletta Mantovani, vedova Pavarotti, «i giornalisti dovrebbero aiutare l'arte».
Già, ma quale? Quella finanziata con i fondi pubblici delle regioni e delle diverse Film Commission, pare. Denaro pubblico che si poteva investire con risultati artistici diversi. Di fatto, sono mancati gli spettatori (Il Fatto Quotidiano ha fotografato sale desolatamente vuote), le star hanno dato il due di picche, né sono state mantenute le promesse di rendere, finalmente, la capitale degna di un appuntamento internazionale di livello. Certo, il calo delle presenze è imputabile anche alla crisi, che non ha permesso agli organizzatori di spendere le alte cifre richieste dalle celebrità. Se Jude Law, con un film in passerella (Le 5 Leggende, come doppiatore), ha fatto un blitz senza apparire sul tappeto rosso, è stato a spese della Universal, major che si è organizzata al di fuori dell'ambito festivaliero. E si è ricorsi a un divo appannato, ancorché globale, come Sylvester Stallone, utilizzandolo in tre occasioni diverse: al Campidoglio per un premio, a Tor Bella Monaca per un bagno di folla in periferia e infine sul tappeto rosso, per promuovere il film di Walter Hill Bullet to the Head. Siamo al cinema salvato dai ragazzini amanti di Twilight, nella sezione «Alice»: non a caso autonoma rispetto al festival e non a caso gettonatissima dagli juniores, sia per il costo popolare del biglietto a 5 euro, sia per l'offerta di piacevoli film per bambini, tutti stranieri (tranne uno). Sarà un caso, se a casa Alice le cose hanno funzionato, tolti i prodotti nazionali? E l'allarme rosso, ora, lo lancia il Sindacato dei giornalisti cinematografici italiani, che il 22 convoca gli stati maggiori della Settima Arte alla casa del Cinema: una riflessione sul futuro del festival s'impone e sia Müller sia Paolo Ferrari saranno alla sbarra.

Intanto, Massimo Ghini, l'attore consigliere d'amministrazione di minoranza (Provincia) della kermesse quirite, avverte: «La preoccupazione è per il dopo: i soci fondatori e il Comune, manterranno gli impegni economici presi?». In questo clima, non giova sapere che Regione Lazio e Comune di Roma presto andranno alle urne e che la Provincia di Roma è destinata a scomparire entro il 2014.

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