Dove un'ombra sconsolata mi cerca. «Un endecasillabo con accenti non canonici». Andrea Molesini suggerisce così, con un verso di Anna Achmatova, che il suo nuovo romanzo (Sellerio, pagg. 286, euro 15) sia «attraversato da contraddizioni»: luce e ombra, gioia e tristezza, naso e occhi, istinto e razionalità, madre e padre. Guido, il protagonista, che diventa ragazzo, e quasi uomo, nella Laguna della Seconda guerra mondiale, insieme a contrabbandieri e partigiani; e Scola, il suo amico, nato adulto, tutto natura e niente educazione, femmine e Tolstoj, che si fa leggere da Guido nelle lunghe giornate in barca, perché lui è analfabeta. Dove un'ombra sconsolata mi cerca è un romanzo dove dominano Venezia, la città di Molesini (che è anche poeta e traduttore, e ha vinto il Premio Campiello nel 2011 con Non tutti i bastardi sono di Vienna, Sellerio) e una certa atmosfera di tempo perduto.
Perché questo titolo?
«Perché è un libro sulla morte, anche se non è triste. In quel verso, da Requiem, Anna Achmatova parla di un'ombra: è l'ombra dell'infanzia, che tutti temiamo di avere tradito. Eravamo piccoli dèi, e poi tutta questa polvere, come cala su di noi? Siamo braccati dall'infanzia e dalla giovinezza, che abbiamo tradito. Poi c'è un altro tradimento».
Quello fra le fila della Resistenza.
«Al centro del romanzo c'è la ricerca di un traditore. E c'è un errore, quasi giuridico; qualcosa che avviene spesso, nelle guerre clandestine. Ma il vero tradimento è quello di sé: quello di Guido, un uomo che era poeta e poi finisce a vendere case; quello di un padre nei confronti del figlio...».
Sono tradimenti inevitabili?
«C'è una terribilità. Siamo sempre soli. Nei momenti cruciali della vita ci sentiamo traditi, e soli».
Meno male che non è un libro triste.
«Non lo è. Ha qualcosa di triste al centro ma, proprio per questo, è un inno alla vita».
Qual è il ruolo della memoria?
«La memoria non funziona in ordine cronologico, bensì per macchie emotive: perciò va avanti e indietro nel tempo. Di qui la costruzione della trama, anche se ho aggiunto le date, per non confondere».
La storia è vera?
«Ispirata a un fatto vero, avvenuto vicino a Conegliano. Questo è il più autobiografico dei miei libri, ambientato nella Laguna, quella della mia infanzia: un luogo strano, le cui acque sembrano obbedire alle leggi del sortilegio, e non della fisica. Ci sono persone che ho incontrato, come Sussurro».
Di che periodo parliamo?
«Quando ero ragazzino, negli anni Sessanta. Ascoltavo le storie di magia di questi narratori, che vivevano sulle palafitte e avevano un linguaggio straordinario, che oggi non c'è più: un italiano bello, preciso, composto».
Il suo è un linguaggio raffinato. Come lo costruisce?
«Questo libro è come un quintetto musicale, e il linguaggio lo riflette, cercando di avere una precisione anche di visione e di immagini. Il ritmo è da musica da camera: un quintetto d'archi... e il linguaggio è molto le mot juste».
Conta l'orecchio?
«Quando scrivo cerco di tenere in campo i cinque sensi, e l'orecchio è fondamentale: vivo nella musica, perché il linguaggio è musica».
C'è un po' di nostalgia?
«Come in altri romanzi tendo a evocare l'atmosfera, che è una protagonista del romanzo, qualcosa che ti rimane anche dopo averlo chiuso. E, per questo, devo trovare un linguaggio che sia pelle e scheletro di quello che racconto. Un linguaggio che deve essere raffinato, per non offendere le ombre che attraversano il libro».
Quali altre ombre ci sono?
«Il mondo di Guido è attraversato da ombre sacre: Sussurro, Maria la somala, la puttanella, la madre perduta e anche il padre, un uomo d'altri tempi, ufficiale della Regia Marina. L'altra protagonista è la Laguna: acque, secche, una pozza immensa che è anche mare. Non è un orpello, già Petrarca usò il paesaggio per definire l'animo umano».
Com'è questa Laguna?
«Io ci vado spesso, ogni volta che posso, con la mia barchetta. Oggi nessuno abita più nelle palafitte, sono usate per gli attrezzi da pesca. Durante la guerra i veneziani tagliarono le bricole segnaletiche per riscaldarsi, poi raccontarono la balla che fosse per la Resistenza, perché dopo sono tutti eroi...».
Che cosa successe?
«Chi non era di qua - quindi i tedeschi, o quelli di Salò - non riusciva più a muoversi in Laguna: quindi era il luogo perfetto per nascondere di tutto, sia per i contrabbandieri, sia per i partigiani. E poi non si pativa mai la fame: era pieno di uccelli e di molluschi».
È un luogo magico?
«Eh sì. La magia non si è mai persa. La natura è così singolare, e forte, che la storia umana perde sempre. Lì, anche la guerra non è niente, diventa poca cosa».
È anche un libro di guerra?
«Noi europei siamo viziati da un lungo periodo di pace un po' immeritata, nel senso che è merito della difesa altrui; ma la guerra appartiene alla storia umana, anche se non ci piace. Però non è un libro di guerra: c'è la guerra, ma serve a forgiare i caratteri dei personaggi».
C'è una Resistenza un po' strana.
«Sì, è una Resistenza strana, perché in Laguna non ci furono vere azioni militari, era più il fatto di non appartenere a Salò. E l'eroismo è smorzato dall'ironia».
Come nasce il suo stile?
«Io frequento due cose: la letteratura, che è la mia passione; e la strada, la vita di tutti i giorni. Tento di usare anche l'italiano del Nord Est, o del Sud Ovest della Mitteleuropa... Cerco di essere semplice, e comprensibile».
Come?
«Brandisco l'astrazione. Credo molto nella concretezza. La frase di William Carlos William: Nessuna idea, se non nelle cose è il mio motto. Non credo nella letteratura naïf».
In quale letteratura crede?
«La parola è in sé stessa complessità, e la letteratura esiste per rispondere a questa complessità. Non siamo fatti per la pappetta. Oggi va molto una certa sciatteria linguistica, il ciangottìo della tv e di internet. La sprezzatura di cui parlava Cristina Campo, che oggi è un po' irrisa, invece è importantissima».
Chi le piace leggere?
«Spinoza e Tolstoj. Boccaccio e Machiavelli. Il Gattopardo, Lussu, amo Sciascia. Non amo la letteratura troppo facile, che va per la maggiore. Amo la semplicità, ma non la banalità».
Che tipo di semplicità?
«La frase chiara.
Ci sono due correnti nella narrativa del '900: quella di Joyce e quella di Hemingway. Ha vinto la seconda, però, se la prosa si allontana troppo dalla poesia, si banalizza. Bisogna ricordare che esiste una letteratura in cui il suono della parola contribuisce a forgiarne il significato».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.