Tutto, ma non subito. Con calma, spalmandolo su 83 anni. Victor Hugo ebbe tutto, dopo la rapida e intensa formazione: romanzo e poesia, teatro e poltrone alla Camera dei Pari, alla Seconda e alla Terza Repubblica, cinque figli, l'esilio e il rientro in pompa magna. Infine, una vecchiaia da nume tutelare della Francia. Eppure buona parte di quel tutto gli scorreva nelle vene già prima dei quarant'anni quando, ben fornito di taccuini, inchiostro e scarpe buone, se ne andò a fare un giro in Svizzera, il Paese d'elezione del romanticismo europeo. Era il 1839, a casa la moglie Adèle si spupazzava Léopoldine, Charles, FrançoisVictor e Adèle (il primogenito Léopold era nato e morto nel breve volgere di tre mesi nel '23) mentre lui scarpinava sul Pilato e sul Rigi, fra valli, locande, laghi, Lucerna, Berna e compagnia (s)cantonando. Qui, nelle lettere indirizzate alla consorte che ora escono per la prima volta in Italia (ma non in italiano, essendo state pubblicate da Armando Dadò per l'appunto in Svizzera, a Locarno, già nel 2002), avvertiamo il passo, il tono e i contenuti di tutto Hugo. Nel volumetto In viaggio. Le Alpi (Elliot, pagg.
96, euro 12,50, traduzione di Martina Acquaro, da domani nelle librerie) spiamo la sua tecnica scrittoria che dal particolare (la tela di un ragno, la forma di un fiore...) si allarga all'universale (la maestà di un monte, l'abissale estraneità di un povero idiota...) e viceversa. A parlare, per mano di Hugo, è sempre la Natura, romanticamente dolce o amara.
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