Presentato fuori concorso all’ultimo Festival di Venezia, Night in Paradise, film del regista coreano Park Hoon-jung, sembra non appartenere ad un genere cinematografico preciso. Sospeso tra gangster movie d’autore, thriller malinconico e dramma dal romanticismo noir, riesce ad essere al tempo stesso un’opera d’impianto narrativo classico e d’impronta moderna.
Alternando momenti di grande poesia a sequenze d’azione fulminanti e crudeli, “Night in Paradise” mette in scena diversi cliché orientali ma riesce ad evitare la sensazione di già visto ammantandoli di fascino crepuscolare. Il senso di morte incombe durante tutta la visione e, sebbene i luoghi in cui è ambientata la vicenda siano in buona parte paradisiaci come enunciato dal titolo, si respira la presenza di un fato avverso.
Tae-gu è l’uomo di riferimento, per affidabilità ed efficacia, di una gang della mafia coreana. Al mondo ha due soli affetti, la sorella ammalata e la nipote, che però vengono uccise in un incidente d’auto per volontà di un capo criminale rivale. Una volta rimasto solo, Tae-qu pareggia i conti assecondando il suo desiderio di vendetta e si rifugia poi, fino a nuovo ordine, su un’isola. Qui, in un paesaggio tutto cielo e mare, incontra Jae-yeon, nipote di un gangster leggendario. La ragazza, scontrosa ed attraente, soffre di una malattia che le lascia poco da vivere.
“Night in Paradise” è un film in cui a farla da padrone sono rapporti di potere e rabbiosi regolamenti di conti, eppure a farsi ricordare è tutto quello che sta loro attorno, ovvero il tempo rubato al crimine, alla sofferenza e alla vendetta. Nelle oltre due ore di durata, sono i minuti spesi di fronte a una pietanza calda, i monosillabi con cui si scava nella vita di uno sconosciuto che non ammetteremo mai ci coinvolga e altri spaccati di poesia quotidiana a rendere la vita degna di essere vissuta. L’ironia e il sentimento, per quanto soffusi, sopravvivono nel racconto come bagliori in una notte senza fine, nella quale la disillusione regna sovrana e non c’è speranza di un’alba salvifica.
Le due figure protagoniste hanno il destino già segnato, ma sanno ritagliarsi scorci di umana complicità nei pochi giorni che passeranno insieme, probabilmente gli ultimi per ambedue.
L’assenza di brio è evidente, ma fa gioco alla messa in scena di emozioni trattenute e sentimenti velati. Le incursioni improvvise di una ferocia ridondante e sanguinaria non bastano ad annullare la delicatezza con cui sono raccontate certe situazioni che le precedono o seguono. Il sottofondo straziante è continuamente ravvivato da tenui pennellate di umorismo, cui è complice l’anti-convenzionalità dei personaggi principali. Il dramma, l’intrigo e la presenza di una dolcezza sui rarefatta (perché legata ad un amore destinato a non nascere), si avvicendano in maniera lenta. Tutto accelera e si spettacolarizza solo in prossimità dei bagni di sangue, cui fa da climax la mezz’ora finale.
Prendendo spunto dalla zuppa wonton tanto decantata nel film, possiamo
definire “Night in Paradise” una ricetta altrettanto semplice ma dagli ingredienti ricercati come romanticismo crepuscolare, pessimismo fosco e azione guidata da uno spietato senso dell’onore.Da oggi su Netflix.
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