U n minimalista hardcore capace di sintetizzare in una frase ciò che gli altri scrittori non sono capaci di scrivere nemmeno in un capitolo: è Denis Johnson che arriva da oggi nelle librerie con La generosità della sirena (traduzione di Silvia Pareschi, Einaudi, pp. 168, euro 18). Cinque racconti che sono il testamento umano e letterario di Johnson, morto due anni fa per un cancro: non ci saranno opere postume o recuperate dal cestino perché lo scrittore americano ha contrattualizzato che questo fosse il suo ultimo libro. Sono racconti scritti prima della sua morte, due dei quali già pubblicati in riviste. Amato dai maggiori narratori del 900 americano - da Philip Roth a Louise Erdrich, - Denis Johnson li surclassa tutti: perché ogni suo racconto è un una lama che apre le nostre viscere come i nostri pensieri, capace di raccontare uomini e donne ai margini del più nulla e al contempo di farci comprendere come le nostre vite siano troppo spesso obliterate da un conformismo che ci rende ciechi, che ci rende vagabondi recidivi di sogni che non riusciamo mai a realizzare, stritolati come siamo dalla nostra routine quotidiana. Leggere Denis Johnson è spesso doloroso, ma allo stesso tempo ci fa riflettere su come, in realtà, non siamo poi tanto differenti dai perdenti che racconta.
C'è sconfitta e sconfitta: e tra le sue pagine comprendiamo come sia labilissimo il confine tra buoni e cattivi. Facile additare un dipendente da alcol, droghe e farmaci (come lo stesso Johnson è stato per gran parte della propria vita) come qualcuno da emarginare, da evitare, mentre la colpa è anche nostra, che non siamo più capaci, per la maggior parte, di riuscire davvero a trasmettere ai nostri figli i veri valori della vita.
Con La generosità della sirena raggiunge i vertici narrativi di Jesus'son, la sua prima raccolta di racconti pubblicati 25 anni fa. Anche alcuni dei protagonisti sono gli stessi, ma Johnson è un maestro nel rendere ogni racconto all'interno di una partitura che li rende più che «storie brevi» dei veri romanzi. A legare i cinque racconti è il tema dell'invecchiamento, della mortalità, della necessità di fare un rendiconto finale dei rimpianti e rimorsi accumulati in vita. Così, nel racconto iniziale il protagonista è un agente pubblicitario assalito «dalla tristezza alla velocità della vita», dall'affrontare «la persistenza dei vecchi rimpianti, i nuovi rimpianti, la capacità del fallimento di rigenerarsi in nuove forme», e si perde «in una discussione sulla differenza tra rimpianto e rimorso». Nel secondo racconto, Lo Starlight in Idaho, il narratore mette piede sul Viale del Rimpianto, mentre è ricoverato in una clinica di disintossicazione dall'alcool e durante le crisi di astinenza e l'abuso prescritto dai medici di nuovi farmaci si crede Gesù o Satana scrivendo a Papa Giovanni Paolo II come a Satana in un lungo delirio di penosa autocondanna. In Bob lo strangolatore Johnson torna a raccontare di reietti della società, perdenti, disillusi diventati vittime delle proprie illusioni, ma soprattutto, vittime della droga come anestetico e antidoto non alla solitudine, ma alla convivenza in un mondo feroce. Dopplegänger, Poltergeist, che chiude la raccolta, è un racconto che ricorda Stephen King, non solo per il contenuto sovrannaturale: racconta di come un suo studente, Marcus Ahen, sia convinto che a morire non sia stato il vero Elvis Presley, ma il suo dopplegänger gemello ed Elvis diventa così la metafora di «un sogno americano i cui avanzi sono solo finzioni».
Tutti i racconti descrivono
un'umanità deragliata che in preda al panico di vivere continua comunque a vagheggiare il miraggio di una possibile salvezza. Certo i suoi racconti ci lasciano un retrogusto amaro, ma è il retrogusto che ha il sapore della verità.
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