Nina ha il passo lieve, ma lascia tracce che neppure il tempo sa cancellare. Nina non è una come tante, una qualunque, perché nella sua memoria porta i colori di una schiatta di donne che ha confessato vita e pudori. Nina è stata giovane d'inverno e vecchia a primavera. Nina, come in una canzone di Fabrizio De André, non ha mai smesso di volare. «La vita di mezzo però, quella stagione bella dei vent'anni, nonostante le traversie confesso che l'ho vissuta a pieno, testarda l'ho cercata in ogni cosa perfino nella rinuncia che sempre mi ha camminato accanto».
Nina è la protagonista e la voce narrante di Nonostante tutte (Einaudi, pagg. 184, euro 16.50), il romanzo di Filippo Maria Battaglia e non è puro spirito, anche se la sua data di nascita non la trovate in nessuna anagrafe. È carne e coscienza e parole ritrovate, scritte qualche volta a mano, con una grafia che non s'insegna più, o battute a macchina, come una storia d'amore che si pensava moderna, lungo le linee di una tastiera, strappate o ricamate, spesso sincere, come si può esserlo quando parli a te stessa.
Nina è un'idea nata cinque anni fa, quando Battaglia in un pomeriggio di sole pallido passeggiava in cerca di libri vecchi in un mercato rionale di Milano. «Vidi che tra le pagine c'era una lettera. Mi colpì, pensai a quante ce n'erano, fra le cassettiere e le cantine di un'Italia dimenticata». Come trovarle? Esiste un posto dove le lettere hanno una casa? Sì, che c'è. È in Toscana, a Pieve di Santo Stefano, novemila documenti conservati nell'Archivio diaristico nazionale.
Battaglia, di questi diari, ne ha letti milletrecento, ne ha scelti prima settemila e poi quattrocento fino a segnare 119 frammenti di donne diverse. Nina è la storia che nasce da ognuna di loro. È tutte e nessuna. È lei che ne incarna l'anima e i destini. Battaglia ha usato soltanto le loro frasi e ha lasciato che Nina scrivesse la sua biografia.
È la storia intima del Novecento arrivata fino a qui. Il miracolo è che la voce di questa donna è vera e immediata. È poetica senza preoccuparsi di esserlo. È profonda perché non ha nulla da nascondere. «In fondo le cicatrici sono ricordi di ferite».
Nina è illusioni e metamorfosi. È un viaggio in Italia dal paese alla metropoli. Nasce sotto gli alberi da frutta: mandorli, ciliegi, albicocche. «La mattina mi svegliava un asino che con il suo padrone Durantino si avviava verso la campagna». Nina ricorda l'odore del minestrone e i pochi abbracci della madre e del padre, la scuola per imparare a mettere una firma, con il dettato e le divisioni fatte a mano.
Nina un giorno perde la sua innocenza e va in città, sotto le fabbriche e vive il boom, la modernità, i balli scatenati e le lunghe estati al mare. Nina scopre un modo di essere donna che non è lo stesso di sua madre e della madre di sua madre. Nina rivendica, sfila in corteo, si batte per la legge sull'aborto, vuole trovare il suo posto nel mondo. Nina è anche sposa e madre, ma c'è qualcosa nel suo cielo che si è perso per sempre, come se alla sua vita mancasse un senso, un sole.
«Sono scontenta. Un'angoscia che è qualche cosa di fisico che scava dentro come una pala e mi svuota di tutto». Nina attraversa il secolo e dice «vedremo», «speriamo». Nina mastica e sputa. Nina invecchia con la sorpresa di invecchiare e scopre che i suoi ricordi si stanno perdendo. Li fissa, scrivendo per sé, senza aspettarsi un pubblico.
È questa la sua più
grande forza, perché di solito chi scrive lo fa per farsi vedere, per un palcoscenico dove sentirsi al centro, per gonfiare il proprio ego fino a renderlo irreale. Nina invece scrive per riconoscersi. «Nacqui leggerissima».
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