«A Napoli i turisti non chiedono più ai tassisti di portarli a visitare Castel dell'Ovo o piazza Plebiscito. Ma le Vele di Scampia». È quanto riferisce compiaciuta Maddalena Ravagli, soggettista di Gomorra, la serie tv che, con la sua violenta narrazione della Napoli più brutale, ha contribuito a rendere «turistico» il quartiere-simbolo della criminalità partenopea. Siamo alla terza stagione della serie tv che è il maggior successo internazionale della fiction italiana (dal 17 su Sky Atlantic HD, e il 14 e 15 i primi due episodi per la prima volta in oltre 300 sale cinematografiche italiane).
Ma l'olimpica distanza dei suoi autori da possibili scrupoli sul rischio seduttivo, o emulativo, di quelle terribili quanto affascinanti immagini è se possibile - perfino aumentato. Il trionfo porta oggi Saviano (autore del romanzo originale) ad esultare come si fosse compiuta un'opera dai meriti sociali: «Ce l'abbiamo fatta! Ce lo sconsigliavano: Diffamate il territorio, ispirate i criminali. Ma noi abbiamo tenuto duro. Raccontando i meccanismi del potere abbiamo illuminato una ferita. Che è il modo migliore per aiutare a guarirla».
Il nuovo racconto, che porterà i malavitosi ad allargare i propri affari anche all'estero, diventa così per Saviano «un modo per allargare lo sguardo a tutte le Scampie d'Europa. La sintassi del malaffare, infatti, è uguale ovunque».
Sulla stessa linea auto-laudatoria il produttore Riccardo Tozzi («Una descrizione esatta del male ha effetti benefici, perché catartici. I racconti che rimuovono il male ne provocano in realtà la permanenza»), e la stessa Ravagli che arriva addirittura a definire Gomorra «un'operazione profondamente morale. Sono madre di cinque figli. E ho notato che per loro è importante conoscere a fondo tutte le cose, compreso il male». Sarà.
In effetti, quanto a male, mentre già si prepara la quarta serie, la terza (diretta da Claudio Cupellini e Francesca Comencini) non farà rimpiangere le precedenti. I sopravvissuti alle faide culminate con l'assassinio di don Pietro Savastano dovranno trovare leccarsi le profonde ferite ed escogitare nuovi equilibri, arrivando a gestire il malaffare fino in Bulgaria. Ciro (Marco D'Amore) sarà annichilito dai sensi di colpa per aver eliminato anche Don Pietro, «e non apparirà più arrogante e sfrontato, ma dimesso e spento». Anche Genny (Salvatore Esposito) «continuerà la sua discesa agli inferi; anche in lui crescerà un devastante desiderio di morte». Sebbene in galera, la terribile Scianel (Cristina Donadio) «sarà come una iena in gabbia: sempre più terribile», e Patrizia (Cristiana Dell'Anni), dopo aver perso la famiglia, «sentirà risvegliarsi dentro il peggio di sé».
I nuovi personaggi non saranno meno dominati dal male: Enzo detto «sangue blu»
(Arturo Muselli, ora in disgrazia sognerà di tornare ai fasti criminali del passato; e Valerio, giovane-bene e studente universitario, proverà un'irresistibile attrazione verso il crimine, facendo di tutto per soddisfarla.
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