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"Ora il mio Cesare deve guidare le scimmie verso il conflitto finale"

L'attore protagonista di "The War" si trova nell'eterno conflitto tra origini e affetti

"Ora il mio Cesare deve guidare le scimmie verso il conflitto finale"

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Da Los Angeles

Andy Serkis, la scimmia perfetta. L'attore, nato a Ruislip nel west London il 20 aprile 1964) torna da dopodomani, giovedì, nella sale italiane nei panni di Cesare, il leader delle scimmie nel film The War Il pianeta delle scimmie, l'ultimo dei film della trilogia ispirata al cult del 1968 con Charlton Heston. Serkins, noto per il ruolo di Gollum/Sméagol nella trilogia cinematografica de Il Signore degli Anelli e in Lo Hobbit - Un viaggio inaspettato, recita ancora nel film che racconta come le scimmie hanno preso il sopravvento sulla terra dopo che un'epidemia virale ha devastato buona parte della popolazione umana sulla terra. È ancora una volta protagonista: dopo aver incontrato gli umani nell'ultimo film, Apes revolution Il pianeta delle scimmie, del 2014, Cesare si ritrova bloccato in un conflitto fra sopravvissuti, una battaglia che non vuole combattere ma che diventa necessaria per la sopravvivenza dei suoi simili. Quando la tragedia lo colpisce Cesare si imbarca in una missione di vendetta che cambierà per sempre la sua vita.

Serkis, diretto ancora una volta da Matt Reeves, è considerato il migliore interprete della tecnica performance capture, che cattura i movimenti e le espressioni dell'attore, ricostruendone poi l'immagine digitale. Memorabile è stata la sua interpretazione del Gollum del Signore degli Anelli e poi del remake di King Kong, per Peter Jackson. «Ormai sono considerato un attore digitale - scherza in carne ed ossa non mi riconosce più nessuno».

Mr Serkis, ci racconta questa evoluzione di Cesare, la scimmia nata dall'esperimento degli uomini e dotata di intelligenza umana?

«L'ho interpretato dall'infanzia all'età adulta ed è stato un viaggio emozionante. I problemi che si ritrova ad affrontare in questo film sono grandissimi e trovo meraviglioso il modo in cui lui li affronta e progredisce. La bellezza di questi film consiste nello straordinario bilanciamento fra le storie umane e quelle delle scimmie e Cesare è l'anello di congiunzione, perché è stato cresciuto dagli uomini. Per lui è un'eterna danza fra il rispetto per gli esseri che l'hanno cresciuto e il suo mondo di appartenenza e questo film racconta la sua difficoltà nel tentare di rimanere all'interno dei confini dei suoi principi morali, perché gli eventi che lo riguardano sono dolorosissimi e rischiano di fargli perdere di vista il bene ultimo».

Il suo sembra essere un eterno conflitto, a causa della sua posizione e del suo legame con gli uomini.

«È vero, è un constante conflitto fra l'immediata sopravvivenza della sua specie e la necessità di assicurare la pace fra umani e scimmie, guardando al di là dell'immediato conflitto, ad un quadro più ampio in cui c'è la sopravvivenza per entrambi. Lui sente molto questa responsabilità».

Ormai è un esperto di performance capture, può spiegare questa tecnica ai non addetti ai lavori?

«In fondo è facile: dei punti, sul mio corpo, riproducono i movimenti nella telecamera (o meglio: nelle circa 25 macchine da presa che sono di solito puntate su di me). E' come essere mappizzati da un sistema GPS, ogni singolo punto sul mio corpo riproduce un impulso che arrivava alla macchina da presa e che crea il mio movimento, in questo modo puoi vedere che cosa fisicamente succede a Cesare nel momento stesso in cui accade, ovvero nel momento in cui io faccio quel movimento».

Era importante catturare i più piccoli movimenti del suo viso?

«Molto importante. Queste sono scimmie che hanno imparato dall'uomo, dotate d'intelligenza umana, era basilare che queste espressioni emergessero».

E' cambiata la tecnica negli anni? Dal Gollum del Signore degli anelli a Cesare del Pianeta delle Scimmie?

«La tecnologia è migliorata, le telecamere facciali si sono evolute. Per il resto ho notato più cambiamenti fra il primo Pianeta delle scimmie e quest'ultimo film. Il cambiamento è avvenuto quando abbiamo iniziato a girare in luoghi reali e non in un hangar, davanti a uno schermo verde».

Cosa che è successa con il secondo film, Apes revolution.

«Alberi veri, luci naturali.

E' l'ultima frontiera della tecnologia, riuscire a omogeneizzare al meglio le tecniche digitali più avanzate con la bellezza della luce e dell'ambiente naturale ha fatto la differenza».

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