Ora tutti cantano Guccini ma Guccini canta da solo: "Voglio scrivere e basta"

In «Note di viaggio» i grandi del pop cantano i classici. E lui regala l'inedito «Natale a Pavana»

Ora tutti cantano Guccini ma Guccini canta da solo: "Voglio scrivere e basta"

Francesco Guccini non ha neanche il cellulare ma tanto rimane lo stesso in contatto con tutti. Esce oggi un disco particolare perché è nuovo ma raccoglie brani vecchi come Auschwitz che ha 53 anni (cantata da Elisa) o Canzone delle osterie fuori porta che ne ha 45 (cantata da Luca Carboni e Samuele Bersani). Si intitola Note di viaggio - Venite avanti... ed è il primo capitolo di una sorta di riassunto con altre voci della storia di un cantautore essenziale nella storia italiana. Uno scrittore prestato alla musica. Un solitario, non un capopopolo. «Volevo fare lo scrittore e sono diventato un cantante, ora, all'alba degli ottant'anni, sono finalmente tornato a essere quello che volevo, ossia uno scrittore», dice lui al Teatro Parenti, splendente e vecchio, lucidissimo nella scelta delle parole e nel loro accostamento inconsueto. Adesso le cantano artisti che sono distanti da lui, come Nina Zilli (grande in Tango per due) o Francesco Gabbani (inimitabile anche qui in Quattro stracci).

Da un bel po' Guccini si è ritirato dalla musica, fa qualche apparizione ogni tanto e in questo disco prodotto da Mauro Pagani canta addirittura un brano inedito che si intitola come un cinepanettone (Natale a Pavana) ma è una poesia dedicata al tempo che fu. «L'ho scritta quasi per gioco e la canto in dialetto pavanese, che è una lingua ormai scomparsa», spiega lui che a Pavana vive da tanti anni nonostante, come sottolinea, «i confini cambiano e adesso non è più in Emilia ma in Toscana». Ricorda i suoi ritorni proprio lì, quando era bambino, quando si prendevano treni a vapore che «se ti soffiavi il naso in galleria, usciva carbone. Si tornava a casa a Natale e si mangiavano i tortellini. Ora li trovi ogni giorno al ristorante, allora si mangiavano solo quel giorno lì». È un Guccini nostalgico che però riesce a dare vita ai ricordi e a metterci un po' di ironia: «Io tornare a cantare dal vivo? Non sono mica Aznavour che a 90 anni saltellava sul palco. Ho deciso di smettere anche se ogni tanto mi faccio una cantata con gli amici. La mia chitarra è in un angolo e non la guardo neanche più». Ora le sue parole sono sulla bocca del meglio del cantautorato italiano, da Brunori Sas in Vorrei a Stelle di Giuliano Sangiorgi al bravissimo Ligabue dell'Incontro: «L'altra sera mi è venuto a trovare - racconta il «Maestrone» come è stato ribattezzato - e ammetto che la sua versione del mio brano mi è piaciuta molto». Se si pensa al prototipo di artista del 2019, Guccini è agli antipodi: per lui l'immagine non esiste se non quella filtrata dalle parole. Dice quello che vuole. Non teme mitragliate di odio sui social. Insomma è libero. «La scorta a Segre? Una vergogna», certifica e pazienza se si è appurato che i motivi della scorta sono «fake». Lui comunque lo dice e non gli importa se «mi massacreranno sui social, tanto non li ho». E sulle elezioni regionali emiliane di gennaio non fa altro che aggiungere: «Spero che vadano come tutti sanno che io spero. L'altro giorno ho sentito il padre della leghista Borgonzoni dire che voterà Bonaccini, da noi c'è una forte base Pd che mi auguro si confermi».

Quando parla, Guccini è sempre più simile a un trovatore provenzale che accende i propri racconti e li ravviva

ogni volta. Si arrabbia solo quando «sembra che abbia scritto solo tre canzoni, Avvelenata, Dio è morto e La locomotiva». In realtà Guccini è molto di più e pazienza se il suo piccolo grande mondo sembra sempre più antico.

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