Ossendowski svelò i segreti di Lenin e scatenò la furia delle spie sovietiche

Torna il romanzo sul patriarca rosso scritto dall'intellettuale ribelle

Ossendowski svelò i segreti di Lenin e scatenò la furia delle spie sovietiche

Lenin, il patriarca rosso (ora pubblicato da Oaks, pagg. 442, euro 25, col titolo Lenin!) è stato a suo tempo, in Italia arrivò per i tipi di Corbaccio nel 1929, uno dei romanzi più venduti d'Europa. E non deve stupire, raccontava molto bene la parabola dell'anima e del motore della Rivoluzione bolscevica in Russia: Vladimir Il'ic Ul'janov (1870-1924). Metteva nero su bianco le caratteristiche del carattere di un leader, che per quanto avesse venduto al mondo il mito della rivoluzione di popolo, aveva, in realtà, nel suo profondo le caratteristiche di un borghese dalla moralità smodata e incline a perseguitare chi gli apparisse come «indegno».

Ma è forse il caso dire qualcosa del suo autore, spesso e ingiustamente dimenticato dalle storie della letteratura. Ferdynand Ossendowski nacque vicino a Ludza, oggi è Bielorussia. All'università seguì la sua prima passione: la chimica. Condusse viaggi di studio in molte zone remote dell'impero zarista. Evidentemente, però, sotto la crosta della chimica stava lievitando un'altra passione, quella della scrittura. Grazie al libro in cui descrisse le sue peregrinazioni in India, Le nubi sul Gange raggiunse il successo. Ed è subito dopo che, nella vita di quest'uomo poliedrico, irrompe la politica. Ossendowski era e si sentiva polacco, odiava lo stagnante mondo zarista. Nella primavera del 1899 ci fu una manifestazione a San Pietroburgo di 25mila studenti. Ossendowski si schierò con loro e pagò con l'esilio. Scelse Parigi. Nel 1901 gli fu permesso di ritornare in Russia.

Dopo lo scoppio della disastrosa guerra russo-giapponese (1904-1905) tornò in scena l'Ossendowski rivoluzionario. Questa volta non si trattava di una banale partecipazione a proteste studentesche: fu condannato a morte per cospirazione contro lo Zar. Dovette considerarsi fortunato quando la sua pena fu commutata nei lavori forzati. Con lo scoppio della rivoluzione di febbraio del 1917 le sue simpatie andarono alle forze democratiche. Quelle forze su cui vide piombare proprio il vagone piombato di Lenin, finanziato dai tedeschi, che volevano la Russia fuori dalla guerra. Dopo la Rivoluzione d'Ottobre si mise rapidamente a disposizione del campo anti rivoluzionario. Prestò servizio nelle più svariate mansioni, nel 1918 fu al centro di una brillantissima operazione per il trasferimento di documenti che dimostravano il sostegno tedesco per Lenin. Dopo la sconfitta, nel 1920, fuggì negli Usa, lì pubblicò il suo primo libro in lingua inglese e il suo successo più noto: Bestie, Uomini e Dei. Nel 1922 Ossendowski ritornò in Polonia e si stabilì a Varsavia. Ed è in questo periodo che si inserisce la scrittura del romanzo su Lenin. Non estendiamo la biografia di Ossendowski sino al suo tragico epilogo, nel 1945 sotto l'occupazione nazista. Basti dire che due settimane dopo la morte di Ossendowski l'area fu occupata dall'Armata Rossa.

Ossendowski era ricercato dalla Nkvd e veniva considerato un «nemico del popolo» proprio per il suo libro. La polizia politica di Stalin riesumò il suo corpo per confermare identità e decesso. Questo dà l'idea della potenza del romanzo.

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