Padiglione Italia solo per tre artisti Alla Biennale si ritorna all'ordine

Luca Beatrice

E cco servita la restaurazione. Il ritorno al futuro di dieci anni fa, quando il Padiglione Italia era stato estromesso dalla Biennale di Venezia, confinato in un angolo delle Corderie senza che nessuno battesse ciglio, con appena due artisti scelti a rappresentare il Paese. In nome della globalizzazione ci trasformammo in una nazione di Tafazzi; il nostro declino artistico cominciò proprio lì.

A partire dal 2009 tutti i curatori incaricati (chi vi scrive assieme a Beatrice Buscaroli, e poi Vittorio Sgarbi, Bartolomeo Pietromarchi, Vincenzo Trione) si sono sforzati di offrire un panorama sufficientemente vasto, accostando generazioni, linguaggi e stili. Con visioni diverse e opposte, criticate e discusse, eppure tutti d'accordo che il Padiglione Italia meritava un posto centrale nella Biennale, perché importante quasi quanto la mostra del direttore, almeno a livello mediatico e di interesse pubblico.

Ieri, fine della trasmissione. Il ministro Dario Franceschini ha annunciato i nomi dei tre artisti che ci rappresenteranno nel 2017: Giorgio Andreotta Calò, Roberto Cuoghi, Adelita Husni-Bey. Nati tra gli anni '70 e gli '80, cosmopoliti (Calò vive ad Amsterdam, Husni-Bey a New York), voci relativamente nuove - Husni-Bey, di origine libica, ha appena vinto il Premio Under 35 alla Quadriennale di Roma - sono stati selezionati da Cecilia Alemani. Avranno uno spazio enorme a disposizione e speriamo davvero che riescano a gestirlo. «Ho scelto di invitare un numero ridotto di artisti rispetto al passato per allineare il Padiglione Italia agli altri padiglioni nazionali presenti in Biennale» dice Alemani. Ma l'Italia non è un Paese come gli altri, bensì la sede della più antica biennale del mondo. E dunque deve offrire uno spaccato esauriente della propria arte, come accade nelle grandi mostre di New York e Istanbul, di Berlino e Lione dove la quota di artisti nazionali è sempre significativa. Inoltre il Padiglione è un palcoscenico spropositato per appena tre presenze, magari lo ridurranno con qualche trovata nell'allestimento, e sarebbe un peccato. Evidentemente Alemani si fida di loro. La curatrice è giovane, ha un curriculum interessante ma non irresistibile, risiede in America ed è sposata con Massimiliano Gioni, il più famoso dei nostri critici, autore di una Biennale (ottima) nel 2013. La nomina aveva destato qualche perplessità. Che ora si rinnova. Magari questi artisti saranno in grado di realizzare lavori eccellenti. Ne saremo felici per loro e per noi. In ogni caso, l'Italia tornerà marginale rispetto alla mostra internazionale.

Confidiamo allora nel direttore Christine Macel, che si è vista spesso in questi mesi, sperando si sia documentata su cosa accade dalle nostre parti.

Proprio mentre sta avvenendo un rilancio significativo dell'arte italiana all'estero, il prossimo Padiglione Italia ne reciterà l'ennesimo de profundis.

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