Una pellicola che vale lo straordinario Gary Oldman

Maurizio Acerbi

È un 2018 cinematografico iniziato all'insegna dei capolavori. Nello spazio di poche settimane, il pubblico potrà ammirare i meravigliosi The Post (di Spielberg), Tre manifesti a Ebbing, Missouri e, da domani, questa significativa lezione di storia che è L'ora più buia, diretta da Joe Wright. Un biopic un po' particolare perché della vita di Winston Churchill estrapola solo uno dei momenti più drammatici della sua carriera politica, quello che lo vide alla guida ferma del governo inglese durante l'avanzata, che sembrava inesorabile, dei nazisti, nel 1940. Le mire espansionistiche di Hitler, infatti, sono una minaccia per tutta l'Europa e la Camera inglese si vede costretta a chiedere le dimissioni di Chamberlain per affidare la poltrona all'esperto Churchill, con il sostegno più convinto dell'opposizione rispetto a quello tiepido e conflittuale dei suoi compagni di partito; senza trascurare lo scetticismo di re Giorgio VI, poco convinto dell'opportunità di affidare le sorti inglesi a un politico così controverso e rude. La vittoria della Germania sembra sicura e al primo ministro si pone davanti un dilemma non da poco: negoziare con il Führer, con tutte le conseguenze del caso, o tenere alta la testa, affrontare il conflitto, difendendo gli ideali di libertà e autonomia? C'è tutto Joe Wright in questa rappresentazione di un momento storico fondamentale per l'Inghilterra. Al quale, non interessa la fedele ricostruzione della vicenda, ma va bene ricorrere a immagini suggestive e trovate azzeccate per dare il senso di quello che sta raccontando. Come la bellissima scena di Churchill che scappa dall'autista, prende la metropolitana e si mette a dialogare, su un vagone, con un gruppo di passeggeri che lo conforta nella sua scelta di resistere. Insomma, rispetto al maggio 1940 raccontato da Nolan nel suo Dunkirk (curioso che siano usciti, nello spazio di poco, due film con la stessa ambientazione temporale) qui siamo più dalle parti del fanta-biopic, con taglio teatrale (il film è molto dialogato, a suo modo testosteronico) ma, non per questo, meno incisivo.

Anche perché quando hai la fortuna di poter dirigere un mostro sacro come Gary Oldman, assolutamente straordinario in ogni singola movenza o inflessione della voce nel dar volto e fisicità al suo Churchill - in pratica Oscar prenotato -, diventa tutto più facile. Anche fare luce sull'ora più buia.

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