«Un festival contraddittorio e poroso», definisce Marco Müller la rassegna romana, da lui diretta per la prima volta, giunta alla settima, tormentata edizione. E mentre tra gli addetti ai lavori circola la sensazione che il regolamento di conti si avvicini, dai pori del festival colano pronostici e tendenze. Roma porta d'Oriente, con le sue vaste comunità asiatiche insediate da decenni e un direttore di rassegna amante dei mondi mandarini, ha poco gradito i film di nicchia, o considerati tali da noi poveri europei, ma strepitosi (dicono) al di là dell'angusta Caput mundi.
Fatto sta che la corsa al biglietto non s'è vista per Aspettando il mare di Bakhtyar Khudojnazarov, ma per l'ultima puntata di Twilight, con adolescenti numerosi al botteghino e finalmente un'aria di festa. Intanto, i film più applauditi all'Auditorium risultano quelli fuori concorso, made in Usa e popolari: parliamo del risarcitorio Bullet to the Head di Walter Hill, che ha entusiasmato chi ammira il suo stile di regia e i fan di Sylvester Stallone, stavolta killer tatuato e armato d'ascia. A differenza di Adrien Brody, Jude Law e Sean Penn, star di passaggio, ma non sul tappeto rosso, Sly si è speso ovunque. Anche Ralph spaccatutto, cartone disneyano firmato da Rich Moore, autore de I Simpson, ha convinto: piace la storia del protagonista, che vuole uscire dal videogioco in cui è costretto, per migliorarsi. Cinema salvato dai ragazzini pure nel caso de Le 5 Leggende di Peter Ramsey, film d'animazione con l'impronta dei creatori di Shrek e della sempre più raffinata Dreamworks. Scontato, forse. Ma è un dato di fatto che il Festival sia percepito ancora come grande festa popolare e non come ritrovo per raffinati (?) cinefili o come piattaforma per gli operatori locali e stranieri. Una realtà, questa, con la quale ora toccherà fare i conti, a prescindere dalle lodi giunte da qualche giornale straniero, Libération in testa.
Venendo al totovincitori del concorso vero e proprio parte in prima posizione l'americano A Glimpse Inside the Mind of Charles Swan III del figlio d'arte Roman Coppola, forte d'un solido cast con Charlie Sheen, Bill Murray e Patricia Arquette. Una sorpresa potrebbe venire dall'ucraina Kira Muratova, nota per il suo stile originale e per le noie avute nell'ex-Unione Sovietica: il suo Un eterno ritorno fa vibrare le corde drammatiche di talentuosi attori russi. Per contentare gli italiani, il fischiatissimo E la chiamano estate di Paolo Franchi potrebbe incassare il Marc'Aurelio per il miglior attore con Jean-Marc Barr, al quale potrebbe fare da contrappeso - con ben altra valenza -, l'elegante Valérie Lemercier, brava protagonista del francese Main dans la Main della favorita Valérie Donzelli. Possibile un contentino tricolore (in quota multietnica) all'arabo Nadir Serhan, protagonista di Alì ha gli occhi azzurri di Claudio Giovannesi.
Ipotizzabile che Il canone del male di Takashi Miike porti a casa un premio per la regia, o per l'interpretazione del bell'attore giapponese Hideaki Ito. Più di Miike, però, ha persuaso il cinese Feng Xiaogang, col suo kolossal 1942, applaudito da pubblico e critica. E la cattiva ragazza di Marfa Girl dello statunitense Larry Clark? È in ottima posizione: al quarto posto secondo Stanleybet.
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