Arriva, da giovedì, uno dei film più attesi di questa estate 2013, che mette insieme due filoni certamente abusati come quelli dei disaster movie e degli zombie, ma dal ritorno garantito al botteghino. World War Z è figlio di World War Z. La guerra mondiale degli zombi, il romanzo fantahorror di Max Brooks, figlio d'arte di Mel Brooks e Anne Bancroft, diventato presto un'icona del genere. Tanto da provocare, nel 2007, una lunga e difficile campagna acquisti dei suoi allettanti diritti cinematografici, vinta da Brad Pitt e la sua Plan B Entertainment sulla concorrente Appian Way di Leo Di Caprio, oltre che un lavoro certosino sulla sceneggiatura con tanto di riscrittura del copione. Non aspettatevi la trasposizione pedissequa del libro; si va molto di ispirazione e tanto basta. E sgomberiamo subito il campo dal classico «arriva il solito film sugli zombie e sulle pandemie». Qui, siamo di fronte a uno dei thriller più coinvolgenti degli ultimi tempi, capace di tenere col fiato sospeso lo spettatore, rapito dal pericoloso pellegrinare, in giro per il mondo, di Brad Pitt, alias Gerry Lane, ex impiegato delle Nazioni Unite in missione speciale per porre fine a una epidemia che sta rapidamente decimando le popolazioni mondiali, sovvertendo gli ordini istituzionali.
Gerry ha lasciato il suo lavoro pericoloso all'Onu per stare di più con la moglie Karen (Mireille Enos) e le due figlie, una delle quali con problemi respiratori. Una mattina come le altre, col solito ingorgo di macchine che blocca Philadelphia, si trasforma presto in un incubo. Perché gli elicotteri continuano a passare sopra le loro teste e i poliziotti sfrecciano in moto? Ecco la risposta. Per strada si stanno moltiplicando degli zombie rapidissimi (scordatevi quelli al rallentatore di Romero) che assaltano gli umani e li mordono infettandoli a velocità supersonica. È il caos, sorretto da un montaggio serrato da togliere il fiato. Chris riesce, a fatica, a portare in salvo la famiglia, ma per tenerla al sicuro dovrà tornare in servizio e partire, in giro per il mondo, alla ricerca del paziente zero, ovvero l'origine della pandemia. Tra Usa, Corea, Israele e approdo finale nel centro sperimentale dell'Oms, inizia una indagine serrata, una disperata corsa contro il tempo.
La ricetta vincente sta nel virare l'oggetto del film. Al centro della vicenda non vi sono il virus letale o l'orda di morti viventi, importanti sì ma non preponderanti per la riuscita della storia; a farti innamorare della pellicola è l'agire credibile di un uomo con il quale l'immedesimazione è immediata, che rischia la propria vita pur di salvare quella dei suoi cari. Non vi è nulla, di quello che si vede sullo schermo, che appaia fuori posto o inverosimile. Pur nel contesto fantascientifico nel quale ci si muove, la storia potrebbe essere reale. Il personaggio di Pitt non è il classico agente dal grilletto preciso. È un padre di famiglia che dispone di un cervello pensante e lo sfrutta al meglio per cavarsi d'impaccio. Non ci sono scene alla Die Hard, insomma, ma action plausibile, pur se ugualmente adrenalinica. Merito dell'eclettico Marc Foster che asseconda un cast particolarmente ispirato dove, oltre al già citato Brad Pitt (chapeau), compare anche, facendo ottima figura, il nostro Pierfrancesco Favino.
Azione tanta, con scene suggestive. Su tutte, l'impressionante assalto degli zombie che si accatastano a migliaia, uno sopra l'altro, per superare il muro di Israele. È la teoria dello sciame trasposta nei non morti. Se non vengono provocati sono stagnanti, lenti e volti al vagabondaggio, ma quando sentono l'odore della vittima (ma deve essere sana) diventano rapidi e feroci come squali che attaccano la preda. Insomma, non la solita caricatura cinematografica ma zombie coreografati in modo plausibile.
Per carità, non ci scordiamo che trattasi di blockbuster e, come tale, arriva a dei compromessi per compiacere il grande pubblico. Però, è fatto bene e non fa rimpiangere gli euro spesi. Vi pare poco?
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