Cultura e Spettacoli

"Il politicamente corretto? Inventato dalla sinistra": i comici smascherano il buonismo

Giorgio Magri, Stefano Chiodaroli e Stefano Rapone ai nostri microfoni per parlare del politically correct

"Il politicamente corretto? Inventato dalla sinistra": i comici smascherano il buonismo

Il politicamente corretto è uno dei temi più discussi nel mondo dell’arte. Dal cinema alla televisione, si ha sempre la sensazione di non poter proferire parola su determinate categorie e/o comunità. Crociate, campagne social e persino petizioni per biasimare gli artisti (senza schwa) provocatori. Una tendenza destinata a proseguire? O una moda passeggera?

Nella prima puntata abbiamo intervistato Gene Gnocchi, Edoardo Ferrario e Dario Cassini. Riflessioni e spunti stimolanti da chi fa uno dei mestieri più delicati in questo tempo di iper sensibilità: il comico. In questa seconda e ultima parte, il pensiero di Giorgio Magri, Stefano Chiodaroli e Stefano Rapone.

Giorgio Magri: “Il politicamente corretto è un’arma della sinistra”

Giorgio Magri

Giorgio Magri si definisce un comico di sinistra, per la precisione di “quella sinistra senza la bandiera arcobaleno”. Lui è il primo (e per il momento unico) rappresentante dell’insult comedy, senza inglesismi della commedia dell’insulto. Abbastanza semplice immaginare i suoi show, la rappresentazione plastica della scorrettezza politica. “La scorrettezza politica è vista in questo momento come una rivendicazione, come una contestazione nei confronti di quello la destra chiama ‘buonismo’, che è un sistema per accalappiare voti progressisti senza fare pagare una lira al padrone”, la sua riflessione: “Io non ho mai avuto problemi, ma quando ho iniziato a fare questo genere sapevo che non mi avrebbero mai fatto fare il Dopofestival, I Fatti Vostri o la Melevisione. La modestia non è il mio forte, io faccio tutto con mestiere. Alcuni apprezzato il black humor ed è lecito”.

A Magri viene naturalissimo dire delle cose scompiacenti, ma si tratta di un mestiere: “All’inizio non veniva sempre tanto bene, a volte offendevo la gente, esageravo o facevo la battuta troppo presto. Queste sono cose che si imparano, c’è dietro un lavoro. E riuscire a dire porcate senza offendere non è facile. Il politicamente corretto non è una moda, è una tecnica che la finta sinistra ha inventato per accalappiare voti progressisti senza fare pagare nulla ai padroni”.

Stefano Chiodaroli: “Siamo in un mondo di fighe che si offendono subito”

Stefano Chiodaroli

“Io non vado a reclamare il diritto di dire quello che voglio, ma lo esercito”: tranchant, categorico Stefano Chiodaroli. “Io credo che molte persone non abbiano capito che l’intento del cabaret e della comicità è parlare di tutto e fare ridere le persone. Se le persone ridono, sono felici e aiutano a costruire la pace nel mondo”, l’analisi dell’artista tra serio e faceto, accendendo i riflettori sul contesto di finzione: “Se dovessi fare una fiction dove sparo a qualcuno perché interpreto un bandito, non avrebbe senso che venissero i carabinieri ad arrestarmi. Se durante uno spettacolo dico delle cose, non ha senso essere sanzionato per aver detto quelle determinate cose. Non mi è mai giunta notizia che dopo uno spettacolo di un comico, la gente sia andata a sparare all’oggetto di una battuta. Mentre invece è accaduto il contrario. Non esistono comici che ammazzano le persone, ma di persone che ammazzano i comici”.

Come nei suoi spettacoli, Chiodaroli non è da mezze misure:“Io sono della vecchia scuola, ho fatto la gavetta e sono cresciuto in un mondo brutale. Adesso siamo in un mondo di fighe che si offendono subito. Questo è un mondo paranoico, i social hanno simulato delle relazioni sociali senza esserlo e ciò ha reso tutti dei mitomani della comunicazione”. Il giudizio sui paladini del politicamente corretto è caustico: “Il problema è che queste persone sono ignoranti e non hanno capito il contesto del cabaret e delle persone. Usiamo la parola per fare ridere la gente. Non certo per fare sentire qualcuno emarginato e sfigato”.

Stefano Rapone: “Il comico deve essere responsabile”

Stefano Rapone

Essendo un tema attuale, il politicamente corretto per forza di cose entra nel dibattito sulla comicità e in parte la influenza, la visione di Stefano Rapone: “Ci sono comici che ci si confrontano, cercano di comprenderlo e se gli riconoscono una validità. Cercano di capire come includerlo nel proprio mestiere, mentre ce ne sono altri che lo rifiutano a priori bollandolo come insensato e continuano comunque a lavorare senza problemi, vincere premi, fare programmi tv di successo. Quindi incide nel senso che non si può ignorarne l’esistenza, ma allo stato attuale delle cose se lo ignori non succede niente”.

Rapone si dice influenzato da questo clima di politicamente corretto, riconoscendone la validità. A livello sociale, per il comico capitolino, una maggiore attenzione nei confronti di persone che si sentono poco rappresentate può solo portare benefici e non comporta chissà quale sacrificio: “Dal punto di vista della comicità penso che spinga il comico a porsi più domande sul perché un tema considerato problematico lo faccia ridere e magari lo porti ad affrontarlo da un punto di vista più consapevole e meno banale”.

In linea generale, Rapone pensa che se vengono fatti riferimenti a categorie meno rappresentate non per colpirle ma anzi magari proprio per stigmatizzare chi le colpisce, e se questa cosa si riesce a comunicare anche usando il paradosso o la provocazione, allora ci si può permettere di dire tutto: "Nelle serate dal vivo è più immediato perché il pubblico è più consapevole del contesto comico e per il comico è più facile creare empatia e comunicare le sue intenzioni. I problemi di solito nascono quando il monologo o la battuta escono da questo ambiente protetto e vengono dati in pasto ai social, senza che vengano messi a fuoco senso e contesto.

Motivo per cui sono convinto che stia innanzitutto al comico la responsabilità di essere consapevole dei temi che tratta e fare in modo che le sue intenzioni siano comprensibili, ma anche che stia al pubblico più generalista non avere una reazione pavloviana a un concetto che gli sembra fuori posto ma cercare di capirne il senso”.

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