Le fotografie dello spettacolo sono inequivocabili: che durante Brief Interviews with Hideous Men - 22 Types of Loneliness - diretto dalla regista nata a Mosca nel 1979 e poi naturalizzata americana Yana Ross - il porno entri pesantemente in scena è un fatto. Si tratta di capire come mai, per restituire lo spirito della raccolta Brevi interviste con uomini schifosi di David Foster Wallace, la Ross, nota appunto per le sue radicali rivisitazioni dei classici, in particolare Ibsen e Cechov, stavolta si sia dimostrata più radicale del solito.
Lo spettacolo è stato presentato in prima italiana ieri sera alla Biennale Teatro a Venezia e stasera andrà in replica, con un bell'avviso corredato da parecchi asterischi: «Attenzione: questa performance contiene linguaggio violento (sessismo, misoginia, stupor, violenza sessuale) e sesso dal vivo. La descrizione di stupro potrebbe avere effetti traumatici». L'accesso è consentito solo agli over 18, non sono permesse fotografie ed è ovviamente possibile andarsene in ogni momento. Inutile dire che in locandina si specifica che la compagnia ha avuto il beneficio dell'«intimacy coach», ruolo che da qualche anno va per la maggiore tra teatro e cinema per consentire agli attori di affrontare la simulazione dei rapporti in modo non traumatico.
Sesso esplicito sul palco: quando ha presentato la pièce allo Schauspielhaus di Zurigo, durante la stagione appena conclusa, si è dovuta difendere dall'accusa di puntare allo scandalo e che il sesso dal vivo a teatro è ben diverso da un porno in tv a casa propria. Come mai questa scelta?
«Per me il sesso sul palco è una estensione dei legami e della connessione con il pubblico. Quanto possiamo spingerci oltre, insieme, nello spazio sicuro e selvaggio del paesaggio teatrale, lontano dalle convenzioni e dalle norme? Mi sembra un esperimento importante, in un momento come questo, in quest'epoca e nello specifico ambiente culturale europeo».
E il pubblico come l'ha presa?
«Il sesso dal vivo ha creato curiosità tra pubblico e media e si è guadagnato molta attenzione, Penso che tabù e trasgressione qui siano rappresentati soprattutto dall'età e dall'esperienza degli adult entertainers in scena: non somigliano a Barbie e Ken, fanno questo mestiere da oltre trent'anni».
Rimane una scelta molto forte.
«Ci tengo a sottolineare che il sesso alla fine appare innocente se paragonato a quelle parti della pièce in cui si parla di violenza e disumanizzazione. Wallace ha sollevato questioni rilevanti sul valore della vita umana in questa raccolta di racconti e incita a rifletterci sopra».
Anche «intrattenitori adulti» per indicare i pornoattori è un'espressione presa da Wallace?
«È una descrizione che si sono dati i performer. Volevamo essere sicuri di rispettarla perché spesso gli attori porno sono accompagnati da stigmatizzazioni e stereotipi lungo tutto il loro percorso, che è professionale, come questa definizione dimostra».
Il pubblico li guarda proprio mentre hanno un rapporto: che tipo di emozione voleva suscitare?
«Il rapporto avviene all'inizio, quando il pubblico entra attraversando il palco. In un certo senso, ogni spettatore dà il proprio consenso mentre cammina su un set con gli adult entertainers lì vicino. Volevo mantenere un livello di fiducia e di aperture con il mio pubblico: siamo uguali, non siamo meglio di altri in questo spazio, ho le mie esperienze, ma sono curioso delle esperienze di chi sta vicino a me. Dato che su sessualità e legami non abbiamo le idee chiare, questa è un'opportunità per me e per il pubblico di trovarci in accordo su come procedere. Voglio che nessuno si senta in trappola».
Quindi alla fine Wallace e la sua prospettiva come emergono da questa performance?
«David Foster Wallace una volta disse che la solitudine è il principio unificante di Brevi interviste, come ben spiega il sottotitolo.
Lui sottolineava sempre che i suoi temi si supponevano tristi, ma che spesso invece risultavano divertenti. Per parlare di cose orribili o dolorose o disturbanti, diceva, ci vogliono gli strumenti dello humour e dell'ironia. È il modo per avvicinarci all'essenza della tristezza: l'incapacità di stare con l'altro».
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