Un posto a teatro

Si dovrebbe pensare che il protagonista della pièce sia appunto il Don Giovanni pensato da Molière come trasgressione antiborghese, baluardo di uno schiaffo totale alla morale che non prende certo di mira le donne - vorrebbe dire crederlo uno di noi mentre, proprio perché non ce la fa ad esserlo, ci odia - ma il genere umano. In questa versione in scena allo Strehler di Milano - prodotta dallo Stabile di Torino e in tournée, dopo Milano, fino a marzo tra Lugano, Bologna e Prato - Gianluca Gobbi, che porta la scena con la sprezzatura d'una grandinata estiva, è trasformato dalla regia di Valerio Binasco (cambi davvero godibili e una divertente soluzione per la statua del Commendatore) in un killer sessuale seriale: ha tutti i deficit della sociopatia contemporanea e si annoia come solo i delinquenti sanno fare, in una ribellione coatta, senza intelligenza né sadismo. Ma è alla fine un fregnone meccanico con coltello al seguito, pericolosissimo, ma che non ci prende il cuore mai. A sedurci, perciò, è invece Sganarello. Nelle due ore di spettacolo il servo siamo noi e questo addita il dramma: Sganarello è spaccato in due non dall'obbedienza al padrone, né dal terrore del suo bastone, ma dalla mancanza di strumenti intellettuali per comprenderne il fallimento dell'anima.

Sergio Romano è un drago nel rendere con l'azione fisica e qualche trucco slapstick l'oscillazione interiore, del buon diavolo corrotto dalla necessità, del soldato cui è toccato in sorte il peggiore ufficiale nella guerra dell'esistenza.

DON GIOVANNI Milano, Piccolo Teatro Strehler fino al 10 febbraio.

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