Principi e politici: i prigionieri speciali di Hitler

La carneficina dell'ultimo conflitto mondiale ha avuto dimensioni smisurate anche per la umana cognizione. Günther Anders coniò addirittura una sorta di nuova patologia: la «incompetenza emotiva». Per il filosofo tedesco, giunti ad un punto talmente sterminato di mostruosità, si correva infatti il rischio di non percepire più i crimini. L'ultimo libro di Mirella Serri, Gli invisibili. La storia segreta dei prigionieri illustri di Hitler in Italia (Longanesi, pagg. 238, euro 16,40), aggiunge un interessante tassello a quanto appena detto. Il quadro sembrerebbe infatti lievemente modificato. Pur rimanendo la cornice perversa, per rango, posizione politica o influenza economica singole personalità furono sul punto di sfuggire allo sterminio nazista. Non che impietosissero Hitler; va da sé che continuassero ad essere ingranaggi utili al Reich. Ma emerge che anche per la teutonica ostinazione nazista esisteva una gradualità in ordine ai prigionieri.La storia inizia il 28 aprile 1945 quando, con mitra spianati, giungono a Villabassa, in Alta Pulsteria, una ottantina di SS. Con loro, poco più di cento prigionieri tra cui una bambina. Triste e ricorrente scenografia di quei tempi. Eppure, quella carne da macello aveva qualcosa di insolito. I residenti se ne accorsero subito nel momento in cui riconobbero dei volti noti. Capi di Governo, ministri, parenti o addirittura figli di monarchi o dittatori. Erano prigionieri speciali. L'ex cancelliere austriaco Kurt Alois von Schuschnigg; il teologo Martin Niemöller; l'ex primo ministro francese Léon Blum; Alexandros Papagos, ministro greco della Guerra; l'industriale Thyssen; il ministro dell'Economia ed ex presidente della Reichsbank, Hjalmar Schacht; il principe Saverio di Borbone; il nipote di Molotov, ministro degli Esteri sovietico; Miklós Horthy, reggente d'Ungheria dal 1920 al 1944; il figlio del Maresciallo Badoglio; Sante Garibaldi, nipote dell'eroe dei due mondi; il capo della polizia di Salò Tamburini; il principe Filippo, marito di Mafalda di Savoia.

A posteriori, una scena surreale perché l'idea dei nazisti non era di sterminarli ma, al contrario, «proteggerli» per poterli usare come merce di scambio. Ma fu proprio la sconfitta del Terzo Reich a portarli alla morte.

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