Un arrivo e una partenza. Positivi entrambi, per i proustofili. L'arrivo è un prezioso volumetto in uscita oggi in Francia, da Gallimard: sono le Lettres à Horace Finaly di Proust. Finaly (1871-1945) fu compagno di Marcel al liceo Condorcet di Parigi. Di origini ungheresi (nacque a Budapest in una famiglia di finanzieri ebrei), era allora, secondo il poeta Ferdinand Gregh, autore di Mon amitié avec Marcel Proust (1958), «un ragazzo piccoletto e grassottello, metafisico e malinconico». Aveva una solida cultura umanistica, tanto da leggere e declamare Omero in greco, ma fece carriera, e che carriera, in un campo molto differente, diventando direttore della Banque de Paris et des Pays-Bas. Quanto alla partenza... la si deve proprio a lui, ed è il succo delle suddette Lettres.
A partire, nel senso di togliersi dalle scatole di Marcel, fu, il 31 maggio 1921, uno dei suoi tanti «prigionieri», vale a dire uno dei suoi tanti modelli per Albertine. Si chiamava Henri Rochat. Era svizzero e nel 1918 faceva il cameriere al «Ritz» di Parigi. A un certo punto, chiese al caposala, Camille Wixler, di essere assegnato all'abituale tavolo di Proust. E di lì a poco prese a indossare vestiti d'alta qualità e biancheria finissima... Scrive in quei giorni Proust all'amico e banchiere, nonché consulente economico, Lionel Hauser: «Quando si ama non degli aristocratici ma dei popolani, o press'a poco, queste pene d'amore vanno generalmente di pari passo con notevoli difficoltà finanziarie». Chiosa Jean-Yves Tadié in Vita di Marcel Proust: «È la prima e unica confessione che Proust fa di amori ancillari». Trentamila franchi, camicia più, mutande meno, costano a Marcel gli approcci con il disinvolto ragazzo di vita conosciuto fra una sogliola e una mousse.
Ma il fatto (il guaio) è che i due non si limitano agli approcci: l'incauto scrittore se lo mette in casa, con funzioni da segretario-estensore. Céleste Albaret, la vera regina di casa Proust, lo sgama subito: si dà «delle arie», secondo il suo signore «aveva una cosa sola: una bella grafia. Per il resto, Crede di dipingere mi diceva il signor Proust». Ecco da chi Albertine ha preso la sua passione per il disegno e la pittura. Circa due anni dura la convivenza, fra boulevar Haussmann ed altri domicili. Proust prova più volte ad accompagnare alla porta l'invadente sottoposto, ma senza risultati apprezzabili. Lo mette persino, fisicamente, su un treno per Ginevra, ma poi quello torna, come un gatto più imborghesito che fedele, e per di più con la gonorrea...
Ma in questa storia il finale si chiama Finaly. A lui si rivolge l'ex compagno di liceo per liberarsi del... «prigioniero» volontario.
Il buon Horace trova un posto di lavoro per Rochat, nel frattempo diventato, secondo un altro partner di Marcel, il musicista Reynaldo Hahn, «bugiardo e cattivo», a distanza di sicurezza, non in Svizzera, ma in una succursale della sua banca a Buenos Aires.
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