Il gulag raccontato come in una fiaba non l'avevamo ancora letto. Ci hanno proposto arcipelaghi e deserti, gorghi che inghiottono migliaia di vite in un colpo solo e catene ininterrotte di solitudini centellinate minuto per minuto, macellerie specializzate in tutti i tagli di carne umana e folli torture psicologiche. Ma questa atmosfera che, a cinquanta sotto zero, ha una mitezza estiva, questi personaggi che, sequestrati da un potere quasi più stupido che crudele, recitano a soggetto con toni da commedia, soprattutto quest'acquerugiola di mistica speranza che scende come un'amichevole nebbia e tutto avvolge, tutto sembra voler proteggere, sono una sorprendente novità.
Non pensiamo che l'autore, il moldavo Nicolae Dabija, l'abbia fatto di proposito, che si sia messo a tavolino cercando e trovando un tono differente con cui narrare la vergogna più grande del sistema solare sovietico e dei suoi satelliti. Pensiamo invece che il suo Compito per domani, il romanzo uscito da poco per la prima volta in italiano (Graphe.it Edizioni, pagg. 400, euro 14,90, traduzione di Olga Irimciuc) l'abbia svolto con estrema naturalezza, da studente che ha imparato bene la lezione e l'ha interiorizzata a modo suo. Perché i poeti (e lui è soprattutto poeta - si vedano le raccolte Poesia e amore, Tabula Fati, 2013, e Diritto all'errore, Franco Puzzo, 2014) non sanno fingere. Si dirà giustamente che invece sanno farlo, e meglio di chiunque altro, i politici. E si farà notare che anche Dabija è un politico. Nato nel 1948 a Codreni, ha fatto addirittura parte dell'ultimo Parlamento dell'Urss dall'89 al '91, guadagnandosi la stima di Michail Gorbacëv oltre che, per due mandati, di quello della Repubblica Moldava (1990 - 1994 e 1998 - 2001). Ma si tratta di un politico eretico, fra le mosche bianche che mettono la cultura sopra tutti i partiti, e la storia sopra tutti i governi.
Non stupisce, quindi, che come nume tutelare del suo romanzo abbia scelto Mihai Eminescu (1850 - 89), il più famoso poeta di Romania, che fu a sua volta politicamente impegnato, e non certo dalla parte dell'impero austro-ungarico, né da quella degli zar... Infatti si chiama Mihai anche il protagonista di questa storia. Il quale, insegnando Letteratura nel liceo di un piccolo villaggio romeno, si sofferma spesso e volentieri sui versi del suo omonimo. Siamo nel 1940, e se l'Austria-Ungheria s'è ormai sfilacciata da tempo, l'Urss è solida come l'acciaio che dà il soprannome al suo padrone: Stalin. Ed ecco che, la mattina del 28 giugno, i cani da guardia del regime entrano trionfanti a Poiana con i carri armati, fra galline impaurite e anziani contadini perplessi. Devono verificare il grado di fedeltà dei sudditi e quando, nell'aula dove il professor Mihai Ulmu sta parlando ai suoi ragazzi, vedono che il ritratto del leader è stato violato con un'aggiunta grottesca ai baffi e con un paio di corna in fronte, ovviamente a pagare è il giovane docente. Il quale, prima di essere arrestato e spedito in Siberia, fa in tempo a dare alla sua classe che si sta preparando all'esame di maturità il «compito per domani»: «Vivere da uomo è un'arte oppure un destino?».
Ci vorrebbe un Dostoevskij per sviluppare un tema simile. E proprio l'autore de I demoni ci torna utile per riprendere il filo da cui siamo partiti, cioè il tono, il passo del romanzo che si aggrappa, nonostante tutto, all'ottimismo, alla fiducia, appunto, nell'Uomo. Dostoevskij viene citato, sul finire, quando milioni di persone, all'indomani della morte di Stalin avvenuta il 5 marzo 1953, ritrovano la libertà per l'apertura dei gulag. Dabija descrive così quei sopravvissuti: «Mostravano un'aria disponibile, amichevole: non erano più l'uomo di Dostoevskij, che, nello stesso tempo, era Dio e il diavolo. Ogni persona cercava di tornare quella creatura meravigliosa che era: un uomo, un essere libero, che non si saziava di respirare quell'aria quasi divina».
La rinascita vince sull'orrore, ecco la cifra della poetica di Dabija. Tanto che Compito per domani è soprattutto una storia d'amore. Dopo l'arresto di Mihai, è infatti la più bella e la più sensibile delle sue allieve, Maria Razesu, a mettersi sulle sue tracce. Non è l'unica, in classe, a essere innamorata del prof, ma è l'unica a rischiare ogni minuto la vita per farglielo sapere, e per restituirgli il libro di poesie di Eminescu che lui le ha prestato... La seguiamo come fosse un'eroina romantica all'inseguimento del suo uomo. Nemmeno i campi della Kolyma sono impermeabili all'amore, nemmeno il fallimento di due fughe può fermare Maria e Mihai e il frutto della loro passione. Quando questo frutto sta per venire al mondo, i suoi genitori somigliano ad Adamo ed Eva traslati dal Paradiso all'Inferno, e quando vede la luce della Siberia, libero come un cucciolo di lupo, il piccolo completa il quadro di una Natività.
Senza svelare i destini riservati ai tre, diciamo che l'autore sa delineare con mano lieve i profili dei loro compagni di sventura. Compresi personaggi celebri come Osip Mandel'stam, l'animatore della «cerchia dei filosofi» che accoglie Mihai.
Ci sono poi il religioso che si rifiutò di canonizzare Lenin, e il pittore che resiste in nome dell'arte, e il tale che si crede il re di Bulgaria, e il terribile criminale che si commuove per il miracoloso dono di qualche sigaretta, e l'ultimo uomo a parlare la lingua ugrica, l'idioma-reperto consegnato a Mihai sotto forma di quaderni affinché li doni all'accademico Likhacev, una volta tornato in libertà.Perché nessuno, alla Zyrjanka-1 di Mihai e alla Zyrjanka-6 di Maria, si sveglia dal sogno impagabile della libertà. Neppure dopo la morte.
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