Quando il jazz va oltre i confini

Non capita spesso che giovane quartetto jazz pubblichi un nuovo album e al tempo stesso organizzi una tournée di oltre cinquanta concerti nei club più importanti della Penisola (domenica scorsa erano al Blue Note di Milano) che andranno avanti fino a fine aprile. I poLO (è scritto così)sono una band sui generis, che affonda le radici nel jazz tradizionale con un occhio a quello contemporaneo (soprattutto alla rivoluzionaria scena attuale di New York) e uno sguardo all'elettronica e alla musica inglese degli anni Settanta e Ottanta. Un bel cocktail, ma bisogna mescolare bene gli ingredienti per ottenere una pefetta alchimia di suoni. Con il loro secondo disco Back Home i poLO centrano l'obiettivo di creare un suono originale ma ricco di influenze. Originariamente il nome del gruppo metteva insieme le iniziali del cognome del sassofonista Paolo Porta e del bassista Andrea Lombardini poi, con la formazione in quartetto, è diventato il più ambizioso acronimo di «Poly Oriented Language Orbits». «Ovvero linguaggi orientati in più punti in versioni differenti - spiega Lombardini con orgoglio -; in realtà suonando e componendo continuiamo ad aprire cassetti diversi e a trovare cose nuove. Ci piace mettere in difficoltà chi vuole etichettare la nostra musica, perché il mistero e la curiosità sono importanti nell'arte». Giovani, ma con un lungo e prestigioso background dietro le spalle (tutti e quattro hanno suonato con artisti come Carla Bley, Steve Coleman, William Parker, Antonio Faraò, Fulvio Sigurtà per fare solo alcuni nomi, e hanno vinto numerosi premi artistici), hanno debuttato con il nuovo marchio l'anno scorso (con l'album Pleasures) con l'obiettivo dichiarato di «unire linguaggi differenti attraverso l'improvvisazione jazzistica». Il loro collante ideologico è quindi l'improvvisazione e la ricerca a tutto tondo. «Amiamo i nuovi suoni di New York, Chris Potter che è il sassofonista più geniale del nostro tempo e John Scofield ma non rifiutiamo l'elettronica inglese degli anni Ottanta, gente come i Japan e David Sylvian e persino i Joy Division, per poi tornare al blues tradizionale».

In Back Home c'è anche Mirror, un brano cantato, scritto in italiano e poi riscritto da Richard Julian, che qualcuno ricorderà con Norah Jones. In repertorio anche qualche classico di Monk e Rivers.. Più trasversali di così....

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