Cultura e Spettacoli

Quando Julius Evola andò a processo per difendere il diritto di pensare (a destra)

Ecco il discorso che il filosofo tenne per dimostrare che non era neofascista

Quando Julius Evola andò a processo per difendere il diritto di pensare (a destra)

Primo. Io mi oppongo al totalitarismo, ad esso contrapponendo l'ideale di uno Stato organico ben differenziato e considerando come una deviazione il «gerarchismo» fascista. In Orientamenti si legge che il totalitarismo rappresentò una direzione sbagliata e l'abortire dell'esigenza verso una unità politica virile ed organica. «Gerarchia non è gerarchismo un male, questo, che, purtroppo, in tono minore oggi cerca di ripullulare e la concezione organica non ha nulla a che fare con la sclerosi statolatrica e con una centralizzazione livellatrice». Ancor più estesamente ed energicamente ho preso posizione contro il totalitarismo in un articolo, che produco alla Corte, dal titolo Stato organico e totalitarismo uscito in Lotta Politica, organo ufficiale del M.S.I. La stessa tesi, portata sul piano della cultura, l'ho difesa nello scritto incriminato di Imperium (n. 2), ove, criticando le idee dello scrittore Steding, riconosco con lui che il male di cui soffre la cultura moderna è il suo particolarismo, dovuto alla paralisi di una idea centrale direttiva, ma mi oppongo alla soluzione totalitaria, nella quale non è un principio spirituale, sopraelevato e trascendente, ma la bruta volontà politica a voler tirannicamente asservire e unificare la cultura, del che il caso-limite si ha nel sovietismo.

Secondo. Una concezione specificamente fascista fu quella del cosiddetto «Stato etico» del Gentile. Io l'avverso, con dure parole.

Terzo . Vi è chi ama dipingere il fascismo come una «bieca tirannide». Nel periodo di tale «tirannide» non mi è mai accaduto di subire una situazione come la presente. Comunque le cose, nel riguardo, stiano, la parola d'ordine che io riprendo da Tacito è: «La suprema nobiltà dei Capi non è di essere dei padroni di servi, ma dei signori che amano la libertà anche in coloro che ad essi obbediscono».

Quarto. Circa il problema della sovranità, io respingo ogni soluzione demagogico-dittatoriale. La vera autorità dico non può esser quella di «un tribuno o capo-popolo, detentore di semplice potere individuale informe, privo di ogni superiore crisma, poggiante invece sul prestigio precario esercitato sulle forze irrazionali delle masse». Nel cosiddetto «bonapartismo» vedo «una delle oscure apparizioni dello spengleriano tramonto dell'Occidente» e ricordo la frase di Carlyle circa «il mondo dei domestici che vuol esser governato da un pseudo-eroe».

Quinto. Io ho attaccato ripetutamente la teoria della «socializzazione » che, come si sa, fu una parola d'ordine del fascismo di Salò, al quale non ho aderito, in quanto dottrina (punti di Verona), pur approvando l'atteggiamento di coloro che combatterono al Nord per un principio di onore e di fedeltà. Nella socializzazione vedo un marxismo travestito, una tendenzialità demagogica. In effetti, la vera azione che io volevo esercitare sui giovani del gruppo Imperium e di altre correnti giovanili era nel senso di una contrapposizione a tendenzialità materialiste e di sinistra presenti nel M.S.I.

Sesto. La difesa dell'idea corporativa non dovrebbe costituire reato, dato che la si trova in partiti legali di oggi, p. es. il P.N.M. e il M.S.I., oltre che perfino in alcune correnti del cattolicesimo politico. Comunque, io faccio oggetto di critica certi aspetti, secondo cui il corporativismo fascista fu una semplice superstruttura burocratica che manteneva il dualismo classista; ad essi ho opposto una ricostruzione organica dell'economia all'interno stesso delle aziende.

Infine un cenno rapidissimo sulle tesi contenute negli articoli di Imperium (n. 1) e di La sfida. Nel primo si ricorda semplicemente quale era, nella romanità delle origini, il senso della parola «imperium»: come essa fosse sinonimo di «auctoritas» e di potere derivato da forze dall'altro. Affermo poi che la crisi del mondo politico moderno riflette la crisi di tale principio o potere, e dei valori eroici che vi si connettevano. L'articolo di La sfida, firmato con lo pseudonimo Arthos riassunto in Orientamenti, si basa sul principio di Metternich: «Con la sovversione non si patteggia»... Né nell'uno, né nell'altro scritto si trovano riferimenti al fascismo né agli uomini di esso.

Questo è tutto.

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