Cultura e Spettacoli

Quante polemiche amare sulla "Dolce vita"

Il documentario di Pedersoli attaccato dal figlio dello sceneggiatore Rondi: "Omesso con malafede"

Quante polemiche amare sulla "Dolce vita"

Venezia. È curioso. In Italia anche la ricostruzione, tra documentario, con decine di interviste, e fiction, di come è nato 60 anni fa il capolavoro di Federico Fellini La dolce vita, non mette d'accordo tutti e si conclude tra le polemiche. Così, alla conferenza stampa di presentazione di La verità su La dolce vita, diretto da Giuseppe Pedersoli e selezionato Fuori Concorso alla 77a Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, ecco che Umberto Rondi chiede la parola: «Sono indignato e offeso, mio padre, Brunello Rondi, è stato il più importante sceneggiatore della Dolce vita ed è stato completamente omesso con malafede. A luglio ho contatto Giuseppe Perdersoli per intervenire: ci saranno probabilmente conseguenze legali». «Non c'è motivo per escludere l'autorialità di suo padre ha risposto puntuale Pedersoli che è il figlio di Bud Spencer e nipote del produttore de La dolce vita solo che la nostra storia non ha nulla a che vedere con quello che dice. Ci siamo basati sulla non confutabile veridicità dei documenti di mio nonno. Nell'archivio abbiamo trovato la sceneggiatura che Peppino Amato comprò da Dino De Laurentiis: il nome di Brunello Rondi non c'è. Non si disconosce il ruolo di suo padre, non abbiamo nessun problema a riguardo. Ma non c'è stata alcuna possibilità di interloquire con lei in modo normale altrimenti avremmo trovato un accordo».

Polemiche a parte, La verità su La dolce vita, prodotto da Arietta Cinematografica e distribuito in sala dal 15 settembre da Istituto Luce-Cinecittà, ricostruisce con cura la nascita di uno dei film italiani più conosciuti al mondo, vincitore della Palma d'oro a Cannes. Nei panni del produttore Amato c'è un attore, Luigi Petrucci, che si è calato, letteralmente, in quelli originali del nonno del regista: «Lo conoscevo bene attraverso gli aneddoti raccontati da altri attori più adulti. Una figura mitica che intuiva i gusti del pubblico ed esprime il desiderio universale di inseguire i propri sogni». Mentre il regista sottolinea come «dalle lettere traspaia la durezza dei rapporti e i contrasti tra chi difendeva il progetto artistico e chi le esigenze dell'industria. Ma anche il talento di un uomo che ha intuito subito il potenziale internazionale di un film molto romano, senza eroe né conclusioni delle storie narrate, né lieto fine.

Ho cercato di creare suspense dando un ritmo non da documentario».

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