Cultura e Spettacoli

Quei "buoni scalpi" che liberarono l'Italia

Tremila pellerossa erano volontari nelle truppe canadesi e molti combatterono nella penisola

Quei "buoni scalpi" che liberarono l'Italia

Quando il regista Quentin Tarantino nel film Bastardi senza gloria raccontò le gesta di un gruppo di soldati americani capitanati da Brad Pitt che agiscono in Francia atterrendo le truppe tedesche scalpandole, alcuni spettatori pensarono subito a un'esagerazione e a un falso storico. Eppure ci sono stati davvero momenti in cui le truppe alleate si sono dovute misurare con la riapplicazione di quella terribile tortura e sono state invitate a praticarla. Lo racconta nel dettaglio il giornalista Matteo Incerti nel volume I pellerossa che liberarono l'Italia (Corsiero Editore, pagg. 398, euro 18). Il 4 luglio del 1943 a bordo della His Majesty Transport Circassia in mezzo all'Oceano Atlantico venne fatto ascoltare agli uomini diretti verso le coste della Sicilia meridionale un messaggio speciale del generale Christopher Vokes che scosse non poco l'equipaggio: «Il nostro motto è: siamo la divisione dei buoni scalpi! Alla vigilia del nostro battesimo del fuoco, per il quale ci siamo tutti addestrati così duramente e a lungo, desidero indicare lo spirito che guiderà tutti noi fino alla fine di questa campagna e le successive. Primo: siamo uomini liberi, in lotta per una giusta causa; quindi siamo invincibili. Secondo: snideremo e distruggeremo il nemico ovunque si troverà. Terzo: saremo duri e spietati; non dovremo mai rilassarci o arrenderci fino a quando la vittoria sarà nostra. Quarto: non dovremo fare prigionieri fino a che non sarà nostra prerogativa essere clementi. Quinto: solo i codardi si arrendono. Presenterò a ogni unità una copia del secondo stendardo della brigata, sarà conosciuto come George Baker. Lo porteremo con noi attraverso l'Italia e la Germania. Buona fortuna e buoni scalpi a tutti voi!».

La Brigata Baker comprendeva nelle sue forze molti soldati di origine pellerossa che si erano arruolati nelle forze canadesi come volontari. Uomini coraggiosi che si illusero come già accaduto ai loro padri che schierandosi con l'Impero britannico avrebbero difeso i loro diritti. Fra gli uomini reclutati per quello sbarco, che in codice era stato battezzato come Operazione Husky, c'era anche Jerry Brant, un ventisettenne Irochese Mohawk della Baia di Quinto nell'Ontario, che si sentì offeso dalle parole del generale Vokes e sfogò tutta la sua rabbia con Roy Durnford, il cappellano dei Seaforths: «Siete giunti dall'Europa accusando tutti noi di essere selvaggi che scotennavano donne e bambini. Ma è falso. Solo pochi guerrieri prendevano scalpi dei nemici uccisi in battaglia. E solo di uomini già morti e in segno di onore e rispetto... L'uomo bianco ha iniziato alla fine dello scorso secolo uno squallido mercato di scalpi, non noi. Anche se ucciderò un tedesco, io non prenderò mai uno scalpo dei miei nemici». Jerry Brant, che portava sul suo corpo le cicatrici del suo lavoro di stalliere, faceva parte degli oltre tremila pellerossa di diverse tribù del Canada che si erano arruolati volontari. «Lo aveva fatto sulle orme di chi aveva combattuto sui fronti europei nella Grande guerra. Ora i pellerossa erano di nuovo pronti a sacrificare la propria vita per l'Impero di Sua Maestà. Vestire la divisa dell'esercito dell'acero, oltre a una paga più dignitosa di quella offerta per gli umili lavori nelle riserve, era anche l'inizio di un rischioso percorso di riscatto sociale».

E così centinaia di indiani Mohawk, Creek, Irochesi, Ojibwa, Cherokee sbarcarono in Italia e contribuirono con il loro coraggio a liberarla, battaglia dopo battaglia, da Agira a Salerno, da Ortona ad Anzio, da Cassino fino alla Linea Gotica orientale in Romagna. Eroi presto dimenticati. Una cinquantina di loro morirono sul suolo italiano e vi vennero seppelliti con onore. I pellerossa che sopravvissero alle missioni di guerra, tornati in patria cercarono di ricostruirsi un'identità di uomini liberi come operai, capi tribù, attori, pittori. Molti di loro compresero però che la loro battaglia avrebbe avuto inizio e fine solo in Italia, come il Creek Joseph Flavien St. Germain che, decorato sul campo dal maggiore Stone, confessò amaramente: «Prima che questa guerra sia finita spero di morire maggiore. Tutti qui mi chiamano il Santo ma quando tutto finirà, quando torneremo a casa, sarò di nuovo un cittadino di seconda classe.

Sarò nuovamente quello che voi chiamate un indiano e non potrò nemmeno entrare in un bar».

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