Cultura e Spettacoli

Quei formidabili azzurri che dominarono il tennis senza prendersi sul serio

Procacci firma per Sky "Una squadra" sulle imprese Panatta, Bertolucci e compagni

Quei formidabili azzurri che dominarono il tennis senza prendersi sul serio

Si può raccontare un mondo, quello del tennis degli anni '70 così lontano da quello di oggi, senza essere mai nostalgici o passatisti? La domanda naturalmente è retorica e ha la risposta pronta se realizzi una serie tv documentaria su Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci, Adriano Panatta e Tonino Zugarelli che, oggi come in quei formidabili quattro anni, dal 1976 - anno della vittoria alla Coppa Davis - al 1980, non si prendono mai sul serio, si stuzzicano, financo si perculano.

Ecco dunque la formidabile serie Una squadra diretta dall'«esordiente» Domenico Procacci (il produttore di più di un centinaio di film con la sua Fandango), sei episodi che andranno in onda su Sky Documentaries dal 14 maggio alle 21,15, anche on demand, su Now e su Sky Sport Uno domenica 15 maggio dopo la finale degli Internazionali d'Italia, mentre nelle sale, il 2, 3 e 4 maggio, si potrà vedere una riduzione cinematografica. Mentre in libreria esce pure, per Fandango, l'omonimo volume.

Il materiale d'archivio è eccellente e le interviste sono montate spesso in maniera esilarante, merito anche di chi ha scritto la serie con Procacci, ossia Lucio Biancatelli, Sandro Veronesi, Giogiò Franchini con Marco Giobbe e Luca Rea.

«Non è mai stato fatto un racconto di questo tipo su quella vicenda - ha raccontato il regista ieri alla presentazione del progetto prodotto da Fandago, Sky e Luce Cinecittà - con l'impresa sportiva che porta alla finale, la battaglia politica, gli attacchi ai giocatori, la partenza con la scorta, la finale nel Cile di Pinochet, le magliette rosse, il ritorno con la coppa ma tra l'indifferenza». Sì perché, un po' come accade oggi a Wimbledon vietata ai tennisti russi («È una cosa indegna e una forma di razzismo che non lascino giocare questi due ragazzi, dicono che se dovessero vincere la famiglia reale sarebbe imbarazzata, be' ce ne faremo una ragione», protesta Adriano Panatta), nel '76 in Cile c'era Pinochet e in Italia una parte dell'intellighenzia boicottava la partecipazione dell'Italia. Tra questi, ricorda Panatta, «c'erano Dario Fo, Franca Rame, Domenico Modugno, anche i media si accodarono e, alla fine, tutto questo ha influito nel ricordo di quella vittoria». Aggiunge Corrado Barazzutti: «In tutti i tornei più importanti del mondo, una storia come la nostra viene ricordata e celebrata, non succede qui in Italia. Sarebbe bello che ci fosse uno spazio per noi nel torneo più importante che abbiamo, quello degli Internazionali del Foro Italico».

E la storia, minuziosamente raccontata nei sei episodi dai titoli evocativi (La battaglia di Nicola, La gente è buona, Il cambio della guardia, Non sentiamo più per te, Pugni chiusi, Santiago), è quella che vede la squadra italiana formata da quei formidabili ragazzi raggiungere la finale della Coppa Davis quattro volte, nel '77 contro l'Australia, nel '79 contro gli Stati Uniti e nell'80 contro la Cecoslovacchia, vincendo dunque solo nel '76 contro il Cile quando Panatta e Bertolucci indossano, come forma di muta protesta contro Pinochet, la maglietta rossa: «Oggi giocherei con la maglietta celeste e gialla - dice Panatta - ma all'epoca nessuno ci fece caso, né il capitano, né la Federazione, né la stampa».

Nel '76 e nel '77 la squadra ha come capitano non giocatore una leggenda del tennis italiano, Nicola Pietrangeli, ritiratosi dall'attività agonistica solo da pochi anni. Pietrangeli verrà esonerato dai suoi giocatori dopo la sconfitta del '77 in Australia. Ciononostante è ancora loro amico e ieri è intervenuto alla presentazione per telefono da casa per un incidente domestico: «Ho una piccola fratturina, mi dispiace non essere lì con voi perché volevo litigare con quei quattro mascalzoni che dicono solo bugie.

Scherzi a parte il merito sportivo della vittoria è tutto loro ma non voglio dividere con nessuno quello di averceli portati io in Cile».

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