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La ragione aiuta a capire che dentro la realtà c'è un mistero più grande

Julián Carrón pone la domanda più urgente in questi tempi di incertezza: "C'è speranza?"

La ragione aiuta a capire che dentro la realtà c'è un mistero più grande

No, non c'è un formula magica o una qualche scorciatoia mistica. «Duemila anni dopo - scrive don Julián Carrón - noi siamo esattamente nella stessa situazione». Pietro, Andrea e i primi apostoli avevano a che fare direttamente con Cristo, noi con la Chiesa che ne prolunga la presenza nella storia, ma la sostanza non cambia. «Il problema della fede - prosegue il sacerdote spagnolo - si pone oggi con il sorgere della stessa domanda: Chi è costui?».

Solo una visione fumettistica o astratta del cristianesimo, purtroppo oggi dilagante, ci fa pensare che le prime generazioni di discepoli avessero più chance di noi di incontrare il Destino venuto su questa terra per portare la speranza. No, la traiettoria è la stessa e se ci disponiamo senza preconcetti e barriere ideologiche, anche noi possiamo intercettare i segni di una Presenza più grande che attraversa la nostra esperienza ma sfugge a tutte le spiegazioni che non oltrepassino l'orizzonte della nostra finitudine.

C'è un quid in più dentro la realtà, un tesoro sperimentabile e documentabile da duemila anni ma non impacchettabile nelle nostre spiegazioni, un surplus che sfugge alle definizioni ma non all'esperienza e che ci costringe, se siamo leali con noi stessi, a riporci quell'eterna domanda: «Chi è costui?».

Un quesito che oggi, in una società scettica e distratta, rischia di finire nell'irrilevanza e che invece è il punto di domanda decisivo della nostra vita. Su quell'interrogativo Carrón si inerpica con la meditazione sviluppata qualche settimana fa per gli annuali esercizi spirituali di Comunione e liberazione, ora disponibile in un libro dal titolo eloquente, C'è speranza?, appena pubblicato dall'Editrice Nuovo Mondo.

La sorpresa, per noi che siamo arrivati dopo l'Illuminismo e con la presunzione di sapere già tutto, è che la fede non è materia per anime pie, pronte a giungere le mani e a immergersi nella penombra rarefatta di nobili sentimenti. Al contrario, l'itinerario tratteggiato a partire dagli anni Cinquanta da don Giussani e oggi ripreso da Carrón mette in gioco in modo tumultuoso la persona, tutta la persona, e la sfida a scaraventarsi dentro la realtà per cogliere quel quid, discreto ma tenace e anzi inestirpabile, che la percorre da venti secoli.

La ragione ha la grande chance, ora come all'inizio di tutto in Palestina, di incrociare quella Presenza più grande che non ci mette al riparo dal dramma dell'esistenza ma è capace di dilatare la nostra umanità e di portarla a compimento.

«La fede - afferma Carrón riprendendo la lezione di Giussani - è un atto di conoscenza che coglie la Presenza di qualcosa che la ragione non saprebbe cogliere, ma che pur si deve affermare, altrimenti si eluderebbe, si eliminerebbe qualcosa che c'è dentro l'esperienza, che l'esperienza indica». Nessun salto logico, quindi, e nemmeno, a ben pensarci, una fortunata illuminazione interiore, ma la scoperta, possibile per tutti in qualunque momento della storia, che dentro la realtà c'è l'evidenza di un mistero che va oltre. «Che Cristo sia qui, ora, tra noi, questo la ragione non può percepirlo come percepisce che sei qui tu, è chiaro? Però non posso non ammettere che c'è».

La posta è vertiginosa, il metodo è semplice: gli apostoli non lo abbandonarono per tre anni, seguendolo ovunque, e giorno per giorno la loro fede, titubante e ondeggiante, si trasformò in una certezza solida come la roccia. Noi siamo chiamati allo stesso itinerario: riconoscere l'eccezionalità di quella Presenza dentro la compagnia di chi già la segue.

Troppo poco? Vorremmo forse prodigi e miracoli, un mondo diverso e una storia altisonante e quasi sfacciata, nella sua grandiosità. Vorremmo, ma il cristianesimo chiama ai piccoli passi, all'attenzione al quotidiano, al cambiamento della storia attraverso le storie di ciascuno di noi. Non ci sono effetti speciali, ma servono cuore e ragione, un'umanità all'altezza delle domande che abitano in ciascuno di noi e che molti, purtroppo, gettano via come una fastidiosa zavorra.

«La ragione - ripete la guida di Comunione e Liberazione - è affermare la realtà sperimentabile secondo tutti i fattori che la compongono, tutti i fattori». Senza censure e amputazioni, così facili per la nostra mentalità che chiude la ragione nella gabbia soffocante del razionalismo. La ragione dunque: «Ci può essere un fattore che la compone di cui si sente l'eco, di cui si sente il frutto, di cui si vede anche la conseguenza, ma non si riesce a vedere direttamente; se io dico: Allora non c'è, sbaglio perché elimino qualcosa dell'esperienza, non è più ragionevole».

Siamo sulla vetta del quesito che muove la meditazione: c'è speranza? «Spesso la mia speranza è riposta nel fatto che non mi accada nulla di brutto».

Così, incrociando le dita, ci avventuriamo nel buio dell'ignoto cavandocela con uno scaramantico Sperem. Ma la speranza, suggerisce Carrón, è altro: «È come un fiore della fede». «Per sperare - osservava Charles Péguy - bisogna essere molto felici, bisogna aver ricevuto una grande grazia». È il faccia a faccia con Cristo: «Abbiamo incontrato - è la conclusione del volume - una presenza che ci ha fatto sussultare, siamo stati guardati con una tenerezza sconosciuta, abbracciati e perdonati al di là di ogni immaginazione».

Davvero, il mistero è vicino, fra le pieghe della nostra umanità: davanti ai nostri occhi.

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