la recensione

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Nei luoghi di Verdi da lui tanto amati e in una sede che più bella non si può (il Teatro Farnese), l’ascolto della Messa da Requiem (1874) si trasforma in un dialogo particolare con l’autore. La Messa è capolavoro che obbliga a riflettere sul rapporto con il sacro, che aumenta i dubbi personali, ma non la certezza della solitaria grandezza, umana e artistica, del suo Autore. Questo accade quando a guidare l’esecuzione c’è un’artista, e mai attribuzione fu più propria, come Yurij Temirkanov. Il grande maestro russo non ha mancato di sottolineare, con suprema aderenza verdiana, nell’omaggio a Manzoni, le liriche desolazioni (sublime l’arco del Recordare e del Lacrymosa). Anche nei «numeri» apocalittici (Dies irae) abbiamo apprezzato il giusto rapporto (finalmente!) con quanto precedeva e seguiva. Nel condurre il quartetto dei solisti, Temirkanov ha saputo adeguare con trattamento ad personam il fraseggio dell’orchestra e gli apporti fonici. Risultato: la squisita educazione musicale del soprano Dimitra Theodossiou, l’intensa vocalità del mezzosoprano Sonia Ganassi, la periclitante intonazione del pur dotato tenore Roberto Aronica, il tenue ma gradevolissimo basso Roberto Zanellato, entravano nel meccanismo interpretativo del direttore. Il non numeroso Coro del Teatro Regio, per merito del suo maestro Martino Faggiani e nel rispetto della visione di Temirkanov, è stato lodevole sotto il profilo vocale e ritmico.

Bellissima serata di musica cui ha contribuito la discreta e ben registrata amplificazione, sempre croce e non delizia, almeno in Italia, dei cosiddetti «rinforzi», che filtrava la bella prestazione dell’orchestra parmigiana, rigenerata secondo Temirkanov.

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